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Reati ambientali e il principio di responsabilità condivisa

In materia di reati ambientali 231 (art. 25 undecies d.lgs. 231/2001), qualunque soggetto che si inserisce nella filiera dei rifiuti, acquisendone la disponibilità, è tenuto a verificare che tutte le fasi di gestione, antecedenti e successive, siano svolte conformemente alla legge. Ciò in quanto coloro che sono coinvolti nella produzione, detenzione, trasporto e smaltimento dei rifiuti sono tutti responsabili della corretta gestione dei rifiuti dovendo garantire il loro corretto smaltimento.

A ribadire questo interessante principio è la Corte di Cassazione, III sez. penale, con la sentenza 41809/2022.

I giudici di legittimità hanno ribadito la c.d. “responsabilità condivisa”, che trova riscontro normativo negli artt. 178 e 188 del Testo Unico Ambientale (d.lgs. 152/2006).

Tale principio impone che la gestione dei rifiuti sia effettuata osservando un canone di diligenza idonea a ricostruire il loro intero percorso (“dalla culla alla tomba”).

Nella vicenda posta all’attenzione della Suprema Corte, il titolare di una ditta, era condannato per i reati di “abbandono e deposito incontrollato di rifiuti” e “attività di gestione di rifiuti non autorizzata” (previsti e puniti dagli artt. 192 e 256 del Testo Unico Ambientale).

Più in dettaglio era stato ritenuto responsabile di omessa vigilanza dell’abbandono, in una zona destinata a cantiere di opera stradale pubblica, di molteplici tipologie di rifiuti, anche pericolosi e per un quantitativo non trascurabile, trasformando l’area interessata da lavori di pubblica utilità in discarica.

Nel ricorso per Cassazione lamentava, tra l’altro, l’assenza di accertamenti svolti sulla vicenda, con la conseguenza che era stato ritenuto responsabile solamente in forza di presunzioni, in considerazione del rinvenimento di documentazione riferibile alla propria ditta e alla natura dei beni ritrovati, riconducibili all’attività svolta.

Peraltro era stato rilevato che aveva provveduto alla rimozione dei rifiuti.

In sostanza, secondo l’interessato, la culpa in vigilando in capo all’imprenditore comportava l’accertamento delle effettive modalità di realizzazione della condotta di abbandono di rifiuti.

La Cassazione ha respinto il ricorso. I giudici di legittimità hanno evidenziato, tra l’altro, la corretta applicazione, in sede di appello, del cd. principio della responsabilità condivisa, in base al quale la responsabilità per la corretta gestione dei rifiuti grava su tutti i soggetti coinvolti nella loro produzione, detenzione, trasporto e smaltimento, essendo detti soggetti investiti da una posizione di garanzia in ordine al corretto smaltimento dei rifiuti stessi

Ne consegue che qualunque soggetto si ponga nella filiera dei rifiuti, acquisendone la disponibilità, è tenuto a verificare che le fasi antecedenti e successive a quella in cui si gestisce il rifiuto siano svolte conformemente alla legge.

Applicando tale principio, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di gestione illecita a carico del produttore di rifiuti che non aveva in alcun modo verificato l’effettiva destinazione – cioè lo smaltimento – da parte del trasportatore incaricato, che aveva illecitamente abbandonato il carico.

L’imprenditore non aveva dato conto della propria estraneità alla vicenda, deducendo il caso fortuito ovvero la forza maggiore, o ancora l’inosservanza ad indicazioni circa il corretto smaltimento dei materiali rintracciati in tal modo. Tantomeno l’imputato aveva dimostrato che i rifiuti rinvenuti corrispondessero a quanto già oggetto di corretto smaltimento, in modo da comprovare l’eventuale infedeltà di terzi soggetti.

Infine, per la peculiare condotta tenuta (l’abbandono di molteplici tipologie di rifiuti, anche pericolosi e per un quantitativo non trascurabile, in una zona destinata a cantiere di opera stradale pubblica, trasformando l’area interessata da lavori di pubblica utilità in discarica), la Cassazione ha ritenuto corretta l’esclusione da parte dei giudici di merito della richiesta di applicazione dell’esimente di particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.).

Nella predisposizione del Modello 231, dunque, con riferimento ai reati ambientali di cui all’art. 25 undecies, si dovrà tenere conto di questo principio.

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