Nell’ipotesi di revisione per contrasto di giudicati, ex art. 630 lett. a) c.p.p., della sentenza che riconosce la responsabilità dell’ente ai sensi del d.lgs. 231/2001, qualora si palesi la circostanza per cui, in separato giudizio, si sia pervenuti all’assoluzione della persona fisica per il reato presupposto, è sempre necessario verificare se la ricorrenza del fatto illecito sia stata accertata.
Tale è il principio affermato dalla Corte di Cassazione, sez. IV, nella sentenza n. 10143/2023.
Nel caso di specie, la società ricorrente aveva proposto, innanzi alla competente Corte d’appello, istanza di revisione, ex art. 630 co. I, 633 c.p.p. e art. 73 D. Lgs. 231/2001, della sentenza di primo grado di applicazione della pena su richiesta delle parti, per ottenere la risoluzione del conflitto tra la summenzionata sentenza di patteggiamento pronunciata nei confronti dell’ente e la sentenza pronunciata nei confronti degli imputati persone fisiche, i quali erano stati assolti dal reato contestato per insussistenza del fatto.
Tale istanza veniva rigettata dalla Corte territoriale sostenendo che fosse possibile ricorrere all’istituto della revisione solo ove si rinvenisse un’inconciliabilità tra i fatti storici fondanti le due pronunce di merito.
La difesa dell’ente, ricorrendo in Cassazione, sosteneva che l’assoluzione dei due imputati, il delegato dal datore di lavoro alla sicurezza e il custode dello stabilimento, fosse di per sé sola sufficiente ad escludere la sussistenza di quegli elementi oggettivi che dovrebbero caratterizzare il reato presupposto, e cioè l’art. 590 comma 3 c.p., che disciplina la fattispecie di lesioni personali colpose commesse con la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Pertanto, in mancanza del reato presupposto, alcuna responsabilità andrebbe addebitata all’ente.
Il ricorso, con sentenza del febbraio 2023, è stato però dichiarato inammissibile dai giudici di legittimità.
La Corte, chiamata a pronunciarsi sul caso, chiarisce, come sia senza dubbio ammissibile attivare una procedura di revisione anche nell’ambito della responsabilità amministrativa degli enti, così come disciplinato dagli artt. 35 e 73 del decreto 231, e ribadisce, tuttavia, come il giudizio di revisione non possa fondarsi sulla mera incompatibilità tra due giudicati, a meno che non vi sia prova che tale incompatibilità concerna il fatto storico.
La Suprema Corte, in tal modo, statuisce come, in tema di revisione, il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all’art. 630 comma 3 lett. a) c.p.p. pen. deve essere inteso con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici posti a fondamento delle diverse sentenze e non, invece, alla contraddittorietà logica delle valutazioni operate nelle due decisioni.
Dunque, un ente che voglia procedere alla richiesta di revisione deve addurre, a pena di inammissibilità, elementi tali da dimostrare, se accertati, che il condannato debba essere prosciolto e non consistenti in un mero rilievo di un contrasto di principio tra due sentenze.
Nel caso de quo, il fatto storico consisteva in un infortunio verificatosi sul luogo di lavoro ad un dipendente della società ricorrente. Nell’intervenuta sentenza di assoluzione delle persone fisiche non si è negata la verificazione del fatto, ma il tribunale si è limitato solamente ad escludere che i due imputati rivestissero una posizione di garanzia.
In secondo luogo, la Corte, richiamando un precedente giurisprudenziale del 2013 della Quinta Sezione Penale, ha ribadito come, in tema di responsabilità da reato ex D.Lgs. 231/2001, all’assoluzione della persona fisica, imputata del reato presupposto per una causa diversa dall’insussistenza di quest’ultimo, non discende automaticamente l’esclusione della responsabilità dell’ente poiché questa, ai sensi dell’art. 8 D.Lgs. 231/2001 il quale disciplina l’autonomia della responsabilità dell’ente, deve essere affermata anche nel caso in cui l’autore del reato suddetto non sia stato identificato. Principio, quest’ultimo, che trova applicazione nel caso di specie, ove la sentenza assolutoria non ha smentito l’accadimento dell’infortunio, bensì ha solo ritenuto non individuati i responsabili dello stesso.
Alla luce di tali considerazioni, sebbene la responsabilità dell’ente ex D.Lgs. 231/2001, dipenda dal reato della persona fisica, funzionalmente legata all’ente, non si potrà addivenire alla revoca della sentenza di patteggiamento per difetto dei presupposti per l’applicazione dell’istituto della revisione.
In conclusione, la Suprema Corte, in ossequio a quanto sinora evidenziato, ha affermato il principio di diritto per cui, in caso di revisione della sentenza avente ad oggetto la responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del d.lgs. 231/01 per contrasto di giudicati, ex art. 630, comma 3, lett. a) c.p.p., ove in separato giudizio si sia pervenuti all’assoluzione della persona fisica per il reato presupposto, è sempre necessario verificare se la ricorrenza del fatto illecito sia stata accertata, discendendo la inconciliabilità del giudicato solo dalla negazione del fatto storico e non anche dalla mancata individuazione della persona fisica del suo autore.
Ciò in quanto, ai sensi dell‘art. 8 d.lgs. n. 231 del 2001, la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato sia rimasto ignoto.
Ciò detto, gli enti che vogliano richiedere la revisione della sentenza che accerta la propria responsabilità ove sia sopraggiunta una sentenza assolutoria della persona fisica dovrà puntualmente accertare che quest’ultima abbia effettivamente smentito la sussistenza del fatto storico, risultando altrimenti impossibile ricorrere all’istituto di cui si discorre.