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Whistleblowing: tutela del segnalante e privacy

La disciplina introdotta dal D. Lgs. 24/2023 (cd. decreto whistleblowing), come noto, nasce con l’esigenze di tutelare la riservatezza del segnalante, mediante la predisposizione di diverse garanzie contro eventuali atti ritorsivi derivanti dalla segnalazione effettuata.

L’identità della persona del whistleblower, in particolare, non potrà essere rivelata, se non con l’espresso consenso del segnalante stesso, a persone diverse da quelle competenti a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni, espressamente autorizzate a trattare tali dati sensibili.

Occorre sottolineare che il diritto alla riservatezza non è un diritto con una portata assoluta: infatti, l’ampiezza della tutela riconosciuta all’identità del whistleblower può variare a seconda delle disposizioni che regolano i possibili procedimenti (siano essi disciplinare, civile o penale) nel quale lo stesso può trovarsi coinvolto.

Con riferimento alle segnalazioni che comportino l’instaurazione di un procedimento penale, la riservatezza del whistleblower è tutelata nelle modalità previste dall’art. 329 c.p.p., il quale impone l’obbligo di segretezza degli atti delle indagini preliminari sino al momento in cui l’indagato non abbia il diritto ad averne conoscenza e, in ogni caso, non oltre la chiusura di tale fase.

Il D. Lgs. 24/2023, suggella le garanzie contro atteggiamenti ritorsivi o discriminatori che potrebbero eventualmente essere posti in essere nei confronti del segnalante, già previste dal D. Lgs. 165/2001 (in materia di amministrazione pubbliche) e dalla recente L. 179/2017 (per quanto riguarda i lavoratori del settore privato).

Inoltre, introduce un’ulteriore forma di tutela processuale per il whistleblower: in particolare, prevede un’inversione dell’onere probatorio in capo al soggetto che avrebbe posto in essere le condotte ritorsive, imponendogli l’obbligo di dimostrare che queste siano state poste in essere per ragioni estranee alla denuncia, alla segnalazione o alla divulgazione.

Tale onere, risulterebbe più gravoso rispetto a quello originariamente previsto: mentre l’art. 21 della normativa comunitaria impone all’autore delle ritorsioni di dimostrare che la condotta sia imputabile a “motivi debitamente giustificati”, l’art. 17 del nostro testo richiede, che questi provi l’estraneità della condotta rispetto alla segnalazione oggetto della controversia.

Viene poi esclusa la responsabilità del segnalante nel caso in cui diffonda o riveli, attraverso i canali di segnalazione, informazioni coperte dall’obbligo di segreto afferenti alla tutela del diritto d’autore o alla protezione dei dati sensibili. Ciò, a condizione che vi fosse, nel momento della diffusione, il fondato motivo di ritenere che la rivelazione di tali informazioni fosse necessaria per “rivelare” la violazione.

L’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) ha previsto l’istituzione di un elenco degli enti del terzo settore che forniscono misure di sostegno per i whistleblower, espressamente individuate dall’art. 18 del D. Lgs. 24/2023. Queste coincidono nell’assistenza e nella consulenza “sulle modalità di segnalazione e sulla protezione dalle ritorsioni offerta dalle disposizioni normative nazionali e da quelle dell’Unione europea, sui diritti della persona coinvolta, nonché sulle modalità e condizioni di accesso al patrocinio a spese dello Stato”.

Non è stata ripresa, infine, la disposizione comunitaria in tema di misure di assistenza finanziaria e di sostegno psicologico per i segnalanti coinvolti in procedimenti giudiziari. Avendo riguardo al soggetto segnalato, il Decreto attribuisce a tale soggetto una tutela ben più limitata, riconoscendogli solo la possibilità di essere sentito, anche attraverso la produzione di osservazioni e di documenti scritti, nell’ambito dell’istruttoria sulla segnalazione interna o esterna svolta dal soggetto competente.

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