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Colpa di organizzazione e modello 231

La “colpa di organizzazione” non va confusa con la “colpevolezza” della persona fisica responsabile del reato, in quanto le carenze organizzative – essendo atte a determinare le condizioni di verificazione del reato presupposto – giustificano il rimprovero e l’imputazione dell’illecito all’ente, oltre a sorreggere la costruzione giuridica per cui l’ente risponde dell’illecito per fatto proprio.

Una recente pronuncia della Cassazione, IV sez., ha ribadito questo consolidato principio nella sentenza 570/2023.

Nel caso in esame, una società veniva condannata al pagamento di una sanzione amministrativa poiché l’amministratore unico era stato chiamato a rispondere del reato di omicidio colposo in violazione delle norme di sicurezza sul posto di lavoro, previsto e punito dall’art. 589 c.p.

Conseguentemente i giudici di merito lo condannavano in primo grado, in quanto soggetto di vertice della società, per il reato di cui all’art. 25 septies d.lgs. 231/2001, per aver tratto vantaggio da tale reato attribuito all’amministratore unico, consistito nel risparmio di spesa derivante dall’aver assunto lavoratori della seconda società senza aver adottato misure di protezione adeguate e senza aver informato adeguatamente i lavoratori sui rischi del posto di lavoro (cd. colpa di organizzazione).

Il difensore della società sottolineava le grandi dimensioni dell’ente in questione, dotato di una struttura societaria articolata e con un sistema altrettanto preciso di deleghe sulla sicurezza e la salute dei lavoratori. Questa, inoltre, è dotata di un Modello organizzativo adeguato ed aggiornato.

Viene anche richiamata la violazione dell’art. 5 del d.lgs., in quanto non sussisterebbe un vantaggio in capo alla prima società derivante dalla condotta colposa dell’ente, in quanto solamente il reiterato inadempimento è sintomatico di una violazione sistematica della disciplina. Infatti, occorre tenere ben distinte non solo le condotte dell’ente da quelle del suo soggetto apicale, ma anche la colpa di organizzazione dalla colpevolezza.

Lo stesso presidente dell’Odv aveva affermato che, dopo l’infortunio, si era recato sul posto di lavoro per verificare come si era sviluppata la dinamica: era emerso che la documentazione prodotta attestava l’idoneità tecnico-professionale dei propri dipendenti.

La motivazione della sentenza impugnata offrirebbe – stando alla difesa – un percorso argomentativo carente, per quanto riguarda la responsabilità dell’ente, “sovrapponendo e confondendo i profili di responsabilità da reato dell’amministratore/datore di lavoro dai profili di responsabilità da illecito amministrativo della società”. Questo si può riscontrare nella parte in cui la sentenza addebita alla società il fatto di non aver svolto alcuna adeguata valutazione sui fornitori, nonostante fosse prevista nel Modello: per questo motivo si possono riscontrare profili colposi ascrivibili all’amministratore della società, quale datore di lavoro tenuto al rispetto delle norme prevenzionistiche, “ma non per questo automaticamente addebitabili all’ente in quanto tale”.

I Giudici di merito fondano la responsabilità amministrativa della società sulla “genericità ed inadeguatezza del modello organizzativo”, senza tuttavia fornire una dimostrazione della sussistenza di una “colpa di organizzazione” dell’ente. Va ricordato, infatti, che la tipicità dell’illecito amministrativo imputabile all’ente rappresenta l’essenza colposa dell’illecito, eziologicamente legato all’organizzazione dell’ente, che abbia consentito al soggetto in posizione apicale di commettere il reato.

In conclusione, l’elemento finalistico della condotta dell’agente “deve essere conseguenza di un preciso assetto organizzativo negligente dell’impresa”, inteso in senso normativo, perché fondato sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti dal d.lgs. 231/2001, a fondamento della responsabilità del soggetto collettivo.

Ne consegue, dunque, che nell’indagine riguardante la configurabilità dell’illecito imputabile all’ente, le condotte colpose dei soggetti responsabili della fattispecie criminosa rilevano se risultasse riscontrabile la mancanza o l’inadeguatezza delle cautele predisposte per la prevenzione dei reati presupposto.

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