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Il reati 231 contro il patrimonio culturale

Dopo la modifica dell’art.9 della Costituzione, a tutela dell’ambiente, il Parlamento ha approvato la proposta di legge in materia di “reati contro il patrimonio culturale”, passaggio cruciale verso la cd. “transizione ecologica”. Infatti, l’intervento mira ad aumentare la tutela offerta ai nostri beni culturali e al paesaggio, attraverso lo strumento del diritto penale.

Il testo, fra le varie disposizioni, ha modificato il decreto legislativo n. 231/2001, con l’introduzione dell’art.25-septiesdecies, derubricato “Delitti contro il patrimonio culturale”, che richiama esplicitamente le norme introdotte nel codice. Sono stati previsti diversi livelli di pena pecuniaria per l’ente, in base alla gravità del reato commesso:

  • da 100 a 400 quote, per le violazioni in materia di alienazione di beni culturali (art.518-novies c.p.);
  • da 200 a 500 quote, per l’appropriazione indebita (art.518-ter c.p.), l’importazione illecita (art.518-decies c.p.) e il trasferimento all’estero non autorizzato di beni culturali (art.518-undecies c.p.);
  • da 300 a 700 quote, per la distruzione, dispersione o deterioramento di beni culturali (art. 518-duodecies) e per la contraffazione di opere d’arte (art.518-quaterdecies);
  • da 400 a 900 quote, per reati più gravi quali il furto, la ricettazione di beni culturali, nonché la falsificazione di scrittura privata relativa a beni culturali, per cui è stata prevista la sanzione interdittiva – ai sensi dell’art.9 comma 2 del decreto legislativo –  inferiore a due anni.
  • da 500 a 1000 quote per i delitti di riciclaggio (art.518-sexies c.p.) e devastazione o saccheggio di beni culturali (art.518-terdecies c.p.).

Il motivo dell’introduzione di queste fattispecie, va ricercato nella volontà del legislatore di rafforzare la tutela dell’ambiente e dei beni culturali, anche nell’ambito di operatività di una persona giuridica. Ogni destinatario della normativa 231, dunque, dove aggiornare ed implementare il modello per prevenire il verificarsi di questi reati.

Da un punto di vista più pragmatico, per quanto riguarda il Modello di organizzazione e gestione, in che modo dovranno muoversi le società, gli enti e le imprese a seguito di tale modifica? E’ chiaro che, con il continuo evolvere del catalogo, i destinatari del d. lgs. 231/2001 saranno tenuti ad implementare e aggiornare continuamente il modello, ma nonostante ciò, diversamente da quanto accaduto precedentemente con l’introduzione del reato di cui all’art. 25-octies.1 (in contrasto alla frode e alla falsificazione di mezzi di pagamento diversi dai contanti), questa modifica sembra portare un importante contributo all’interno del sistema 231 e, dall’altra parte, non sembrerebbe creare eccessive complicazioni nell’aggiornamento del modello.

Di fatti, il vero cambiamento sembra tradursi più sul piano astratto che su quello concreto: l’ente sarà tenuto a dotarsi di un sistema interno che tenga conto anche dei nuovi reati contro il patrimonio culturale, impostando la propria governance in questa direzione. Il rispetto dell’ambiente e dei beni culturali, non a caso, sta diventando sempre più un tema centrale nella gestione delle aziende e le contestazioni di questo tipo all’ente potrebbero crescere in modo notevole in futuro.

Il legislatore, a vent’anni dall’entrata in vigore della normativa 231 non sembra aver cambiato approccio, soprattutto nel momento in cui interviene con una modifica o una integrazione di quei reati che l’ente deve considerare nel momento in cui adotta, aggiorna o implementa il proprio modello. L’obiettivo della normativa 231 resta quello della prevenzione e della repressione dei reati che si potrebbero verificare in contesti aziendali.

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