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L’inidoneità del modello organizzativo porta alla condanna dell’ente (Cass. Pen. 33976/2022)

La società è responsabile del reato in materia di lavoro commesso dal proprio dirigente nonostante l’adozione di un modello organizzativo, risultato, però, carente nella parte relativa alla prevenzione degli infortuni. Nella specie l’ente ha tratto vantaggio dalla condotta, che si è sostanziata in un risparmio di spesa.

A fornire questa rigorosa interpretazione è la Corte di Cassazione con la sentenza n.33976/2022, secondo cui, la mera adozione del modello organizzativo non è sufficiente ad assicurare all’ente l’impunibilità relativa ai reati espressamente previsti dal catalogo, nel caso non risulti concretamente idoneo a prevenire quei reati maggiormente ricollegati alle più frequenti aree di rischio nell’attività dell’impresa.

Nel caso in esame, al presidente del consiglio di amministrazione di una società, in quanto soggetto apicale, veniva contestato il reato previsto dallart.590, comma 3 c.p.. In particolare, aveva messo a disposizione di un lavoratore, un meccanismo privo dei requisiti per la sicurezza, cagionando a titolo di colpa, consistita in negligenza, imprudenza o imperizia, delle lesioni in violazione della disciplina antinfortunistica (art.71 T.U.S.L.).

Di conseguenza alla società era contestata la violazione prevista dall’art. 25 septies del d.lgs 231/2001, nonché vizi motivazionali relativi a illogicità e contraddittorietà.

La Corte di Appello di Venezia condannava la società, confermando la sentenza di primo grado, con riferimento alle lesioni personali gravi ai danni di un dipendente, a vantaggio dell’ente, imputato al suo presidente del consiglio di amministrazione.

L’ente ricorreva in Cassazione lamentando, per prima cosa, l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 5 d.lgs. n. 231/2001, quale criterio di imputazione della responsabilità dell’ente.

La Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che, in tema di responsabilità degli enti, la colpa di organizzazione, è da ritenersi relativa al rimprovero derivante dalla inottemperanza, da parte dell’ente, dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti dal catalogo 231.

Il modello che l’ente deve adottare, deve tener conto, ovviamente, delle aree di rischio più prossime all’attività svolta in concreto dall’impresa: nel caso in esame, non aver predisposto le dovute cautele antinfortunistiche, sottintende che il modello organizzativo non ha considerato adeguatamente tutti gli scenari possibili.

Peraltro, trattandosi di un reato colposo d’evento, si potrebbe concretizzare la responsabilità, a titolo di colpa, per un fatto commesso da un soggetto in posizione apicale, nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso. Secondo le Sezioni Unite (Sent. 38343/2014), esisterebbe una perfetta compatibilità fra l’inosservanza della prescrizione cautelare richiamata nel modello organizzativo e l’esito vantaggioso per l’ente.

Per la Suprema Corte, inoltre, nonostante l’implementazione di un corretto ed efficace modello organizzativo da parte dell’ente, la mancata predisposizione di presidi di sicurezza – soprattutto in aree ad elevato coefficiente di rischio – configura, su un primo livello, un risparmio di spesa e, su un secondo livello, un conseguente incremento economico. Difatti, “al risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dei procedimenti e presidi di sicurezza […] e all’incremento economico conseguente all’incremento della produttività, non ostacolata dal rispetto della normativa prevenzionale, nonché al risparmio sui costi di consulenza, interventi strumentali e sulle attività di formazione”, consegue un concreto, anche se esiguo, incremento economico.

Infine, in ogni caso, poiché l’art 25-septies non richiede né un vantaggio cospicuo né la natura sistematica delle violazioni della normativa antinfortunistica, ai fini della responsabilità, la Corte ha ritenuto infondata anche la censura del ricorrente sull’esiguità del vantaggio economico.

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