Con una recentissima ordinanza emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Torino – tornando a pronunciarsi sul tema dell’ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente “imputato” ex D. Lgs. 231/2001 – la Giurisprudenza di merito è tornata ad aderire alle argomentazioni offerte dall’orientamento maggioritario attualmente diffuso, sancito dalla Suprema Corte con distinte pronunce, secondo il quale non è ammissibile l’esercizio della pretesa risarcitoria dei danni nascenti dal reato (pretesa di natura civilistica) nel “procedimento penale” a carico dell’ente.
Le ragioni a sostegno di tale orientamento – fatte proprie in toto dal Giudice di merito – si sono fondate su varie argomentazioni.
In relazione al (noto) caso de quo, nell’ambito del procedimento a carico di una società sportiva, era stata spiegata costituzione quale parte civile da parte della CONSOB, da parte di Associazioni rappresentative di interessi diffusi e collettivi (fra cui CODACONS e ASSOCIAZIONE CONSUMATORI), nonché da vari azionisti della Società che avevano agito uti singuli per richiedere il risarcimento del danno prodotto dalle condotte illecite oggetto di contestazione nei confronti degli imputati “intranei” all’Ente.
Nel dichiarare l’inammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente imputato, il G.I.P. – ripercorrendo le tappe evolutive dell’orientamento ad oggi maggioritario fatto proprio tanto dalla Suprema Corte, quanto dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Giustizia Europea – ha argomentato constatando che, nel disegno normativo offerto dal D. Lgs. 231/2001, “manca ogni riferimento alla costituzione di parte civile” e che tale omissione non è frutto di una mera lacuna normativa, bensì è indice di una “consapevole scelta [in tal senso] del Legislatore” (in tal senso, Cass. Sez. VI Pen – sentenza n. 2251 del 2010).
Secondo i Giudici di merito, oltre alla totale assenza della parte civile fra i soggetti del procedimento penale a carico dell’ente, nel medesimo senso è indicativo che l’istituto del sequestro conservativo – mentre nel procedimento penale classico è finalizzato a garantire tanto l’adempimento delle pene pecuniarie e delle spese del procedimento, quanto l’adempimento delle obbligazioni civili e una sua applicazione può essere richiesta anche dalla parte civile (art. 316 c.p.p.) – ai sensi dell’art. 54 del D. Lgs. 231/2001 tale sequestro è finalizzato unicamente a garantire l’adempimento delle sanzioni pecuniarie e delle spese del procedimento.
Inoltre, si legge nell’ordinanza, tale “presunta lacuna normativa” non è superabile mediante il ricorso alle clausole generali di estensione della disciplina processual-penalistica codicistica al procedimento penale dell’ente ex artt. 34 e 35 del medesimo Decreto.
Infatti, essendo il reato commesso dall’imputato persona fisica solamente un presupposto della responsabilità “penale” dell’ente (responsabilità che ha, formalmente, carattere amministrativo e si compone alla stregua di una fattispecie complessa in cui accertare l’interesse/vantaggio dell’ente nonché la “colpa da organizzazione” dell’ente stesso), non può trovare immediata applicazione l’art. 185 c.p., il quale fa riferimento ai “danni emergenti dal reato” e, conseguentemente, l’art. 74 c.p.p. il quale rimanda al primo (in senso conforme, anche Corte di Giustizia U.E., II Sezione, n. C-79 11 del 2012, la quale ha riconosciuto che l’esclusione dell’ammissibilità della costituzione di parte civile nel procedimento a carico degli enti non si pone in contrasto con le previsioni comunitarie).
In definitiva, stante l’inammissibilità dell’istituto della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente imputato, unico strumento idoneo ad esercitare le istanze risarcitorie di chi si assume danneggiato direttamente nei confronti dell’ente non resta che quello – ammesso – di citare l’ente quale responsabile civile (e pertanto, ex art. 83 e ss c.p.p., solidalmente obbligato al risarcimento con l’imputato persona fisica) per i fatti di reato commessi dai soggetti ad esso intranei.