Cerca
Close this search box.

Il reato di autoriciclaggio e la clausola di non punibilità (Cass. Pen. 4855/2023)

La clausola di non punibilità relativa al reato di autoriciclaggio non opera a favore dell’autore di varie fattispecie di delitto presupposto che, una volta percepiti profitti illeciti in denaro, effettui sia operazioni di movimentazione bancaria sia plurimi acquisti di beni mobili ed immobili anche allo stesso intestati. Con la sentenza 4855/2023, sez. II, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato questo principio di diritto.

La vicenda traeva origine dalla decisione della Corte d’Appello di Milano, la quale confermava la sentenza del GIP di Monza. Fra le condanne per i tre imputati risultava anche il delitto di autoriciclaggio. Avverso la decisione, tutti gli imputati ricorrevano per Cassazione, adducendo quale comune motivo di ricorso, la violazione di legge e la contraddittorietà della motivazione, relativamente al reato di cui all’art. 648 ter 1 c.p.

In particolare, i difensori degli imputati lamentavano la mancata applicazione della causa di non punibilità in caso di godimento personale dei beni di provenienza delittuosa (in relazione al delitto di autoriciclaggio), introdotta dal d.lgs. 195/2021 al quinto comma del citato articolo. Il deposito su conti correnti intestati agli imputati di somme di denaro derivanti dalla vendita di sostanze stupefacenti, non sarebbe idoneo a costituire un’attività di ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa dei beni, i quali sarebbero stati destinati unicamente all’utilizzazione e al godimento personale.

Il resto di autoriciclaggio è disciplinato dal codice penale all’art. 648 ter 1 che punisce “chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.

La sentenza risulta interessante anche per le società, in quanto, tale fattispecie è richiamata fra i reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti, all’art. 25 octies del decreto 231: questo punisce l’ente con la sanzione pecuniaria dalle 200 alle 800 quote, con la possibilità che venga applicata anche una sanzione interdittiva.

Tuttavia, sarebbe difficile applicare la clausola a una persona giuridica, in quanto il reato dev’essere commesso dall’autore nell’interesse o vantaggio dell’ente e non potrà mai essere commesso con modalità tali da configurare un esclusivo godimento o utilizzazione personale in capo all’autore stesso.

La Suprema Corte, tuttavia, non ha accolto il ricorso a seguito di una analisi sulla applicabilità in concreto della clausola. Nello specifico, la ratio della nuova clausola va individuata nella volontà di evitare di giudicare più volte uno stesso soggetto per il medesimo fatto illecito.

E’ necessario accertare in concreto ed ex ante, sulla base degli elementi sussistenti al momento della realizzazione del fatto, l’effettivo utilizzo a scopo personale dei beni, ai fini dell’integrazione della fattispecie.

Nel motivare la propria decisione, infatti, la Corte ha precisato come la condotta di colui che depositi su conti correnti esteri ingenti somme di denaro, derivanti dal traffico di stupefacenti, renda effettivamente chiara l’intenzione dell’agente di occultarne la provenienza illecita.

La Cassazione ha, infine, affermato che anche le operazioni finalizzate ad un utilizzo personale dei beni, anche se effettuate su rilevanti importi di denaro – nonché su plurimi conti correnti – sono condotte idonee ad integrare il reato di autoriciclaggio previsto e punito dall’art. 648 ter 1 c.p., in quanto l’obiettivo è quello di perseguire qualsiasi forma di “re-immissione delle disponibilità di provenienza delittuosa all’interno del circuito economico legale”.

Potrebbe interessarti