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Modello 231 – efficacia ed attuazione – Il caso Johnson & Johnson Medical

Il Tribunale di Milano ha nuovamente affrontato il tema dell’efficacia ed effettiva attuazione del Modello 231 adottato da una società, nel caso di sussistenza di uno dei fatti di reato di cui al D.Lgs 231/01, depositando la sentenza Johnson & Johnson Medical che di certo farà discutere.

Il caso concreto

Nel procedimento di primo grado a carico di Johnson &  Johnson Medical S.p.a., in riferimento a fatti di corruzione commessi da un dipendente a vantaggio dell’ente, veniva contestata dalla Procura l’adozione da parte della Società di un Modello ritenuto “inidoneo” a prevenire il reato presupposto, e comunque la sua inefficace attuazione.

La particolarità della vicenda derivava dalla contestazione di fatti di cui al D.Lgs 231/01 in relazione a condotte poste in essere da dipendenti della società, non da apicali, con la conseguente valutazione della eventuale sussistenza della responsabilità a carico dell’Ente.

In particolare il Pubblico Ministero contestava:

a) che non fosse stato tempestivamente rilevato, né impedito, l’accordo “occulto” con un pubblico ufficiale, in virtù del quale la Società erogò cospicue utilità economiche dirette ed indirette a quest’ultimo;

b) che non fu tempestivamente rilevata ed impedita la conclusione di plurimi contratti di consulenza retribuita, senza la prescritta autorizzazione da parte dell’Ente di appartenenza del Pubblico Ufficiale;

c) che non fu tempestivamente rilevata ed impedita la corresponsione da parte della società di pagamenti a soggetti diversi, per prestazioni asseritamente inesistenti, finalizzati ad assicurarsi pubblicità e ritorno di immagine.

Il Tribunale, premessi brevi cenni sul concetto di colpa di organizzazione, si soffermava sulla struttura del Modello organizzativo, valorizzandone la sua unitarietà allo scopo di prevenire la commissione dei reati presupposto sia da parte degli apicali che dei “sottoposti”, in altre parole i dipendenti.

L’avvenuta adozione di un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo da parte di una Società, di per sé non obbligatoria, determina in sostanza l’attrazione all’interno dello stesso degli obblighi di direzione e vigilanza che, comunque, competerebbero all’Ente (ed ai suoi apicali) nell’ambito della normale attività d’impresa.

Orbene, nel caso di specie, nonostante il Modello prevedesse alcune regole di comportamento che dipendenti (ed apicali) avrebbero dovuto seguire per evitare (o meglio ridurre) il rischio di commissione dei reati presupposto contestati dalla Procura di Milano, secondo il Tribunale, il processo avrebbe dimostrato:

a) l’inidoneità delle misure preventive previste nel Modello Organizzativo per impedire la commissione dei reati;

b) l’attuazione inefficace del Modello, poiché, a fronte di reiterate violazioni, non sarebbero state prese misure adeguate per la revisione e modifica delle regole previste, “aggiornando” il Modello a seguito degli episodi verificatisi;

c) la totale inadeguatezza del sistema sanzionatorio adottato dalla Società, a fronte delle violazioni delle norme di cui al Modello Organizzativo.

Le ragioni della condanna – in primo grado

Il Tribunale di Milano ha ritenuto che, in presenza di fatti rilevanti ai sensi del D.Lgs 231/01 commessi da dipendenti, si configuri la responsabilità dell’ente laddove il fatto sia stato propiziato, in tutto o in parte, dall’inosservanza del dovere di direzione e vigilanza che incombe sugli apicali della Società.

In particolare la Pubblica accusa avrebbe provato, nel corso del processo, non solo le condotte degli autori del reato, ma le omissioni di coloro che su dette attività avrebbero dovuto, in virtù del proprio ruolo, svolgere il compito di direzione vigilanza, accertando e dichiarando in conseguenza la responsabilità dell’Ente.

Si é dunque sottolineata la rilevanza del mancato intervento da parte di coloro che, pur individuati dai protocolli e dalle procedure previste dal Modello 231 come “responsabili” delle relative funzioni aziendali, non si adoperarono per verificare, reprimere e punire le condotte dei propri sottoposti, agevolando, secondo il Tribunale di Milano, la commissione dei reati.

Del resto, nel processo, sarebbe emerso che i dipendenti non seguirono le norme di comportamento previste nel Modello 231, gli apicali non rilevarono e/o comunque non segnalarono all’Organismo di Vigilanza, attraverso flussi informativi le anomalie riscontrate, e nessuno provvide a prendere provvedimenti a fronte di una prassi non conforme alle regole adottate, protrattasi nel tempo.

Da ultimo é strato considerato rilevante il mancato funzionamento del sistema disciplinare che, nell’ambito del Modello 231, costituirebbe elemento di chiusura del sistema, in considerazione del fatto che in presenza di violazione delle regole di comportamento previste, non potrebbe non esservi una punizione.

Il Tribunale di Milano, nel caso di specie, ha invece rilevato che nessuna delle violazioni di chi avrebbe dovuto dirigere e vigilare l’attività dei dipendenti, e non vigilò, abbia dato luogo ad una sanzione e/o ad un procedimento disciplinare, ad ulteriore conferma della imperfetta attuazione del Modello 231.

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