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Il regime della prescrizione previsto all’art. 22 d.lgs. 231/2001 e i principi Costituzionali (Sent. n. 25764/2023)

In relazione alla presunta irragionevolezza della disciplina della prescrizione prevista per gli illeciti commessi dall’ente imputato rispetto a quella prevista per gli imputati-persone fisiche, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 d.lgs. 231/2001, per asserito contrasto con gli artt. 3,  24, comma secondo, 41 e 111, secondo comma, della Costituzione.

Questo poiché la diversa natura dell’illecito che determina la responsabilità dell’ente e l’impossibilità di ricondurre il sistema di responsabilità sancito dal decreto 231, nella sua totalità, nell’ambito dell’illecito penale, giustificano il regime derogatorio della disciplina della prescrizione.

Quest’ultimo è il principio di diritto sancito dalla Sesta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 25764 del 2023, la quale, riprendendo i precedenti orientamenti della medesima Corte, e nella specie, la sentenza Bonomelli n. 28299 del 2015, così risponde alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente.

La questione trae origine dalla sentenza della Corte di Appello di Milano, la quale confermava la sentenza di primo grado, con la quale la società ricorrente veniva condannata al pagamento di un’ingente sanzione pecuniaria, oltre alla confisca di € 66.666,00, a seguito della contestazione dell’illecito dipendente da un reato previsto dal d.lgs. 231/2001, ascritto al proprio legale rappresentante.

La società, attraverso il secondo motivo ricorso, sollevava, pertanto, questione di legittimità costituzionale della disciplina della prescrizione disciplinata dall’art. 22 d.lgs. 231/2001, ritenendo violasse plurimi principi costituzionali, tra cui:

  • L’art. 3 Cost., prospettandosi un’irragionevole disparità di trattamento dell’ente rispetto alla persona fisica imputata;
  • L’art. 24 Cost., per la violazione del diritto di difesa derivante dall’impossibilità di difendersi provando in relazione a fatti che possono essere giudicati dopo che siano trascorsi molti anni dalla data di verificazione;
  • L’art. 41 Cost., rilevando un pregiudizio al diritto di iniziativa economica privata in ragione della compromissione della possibilità dell’ente di continuare a svolgere la propria attività;
  • L’art. 111 Cost., per la violazione del principio di ragionevole durata del processo, impedita dall’imprescrittibilità dell’illecito dipendente da reato.

Gli Ermellini hanno ripreso i precedenti orientamenti della Suprema Corte, ribadendo che la responsabilità dell’ente si fonda su un illecito amministrativo e che il fatto che questo venga accertato nell’ambito di un processo penale, non ne muta la propria natura, qualificabile come tertium genus (così come affermato con la celebre sentenza della Sezioni Unite n. 38343/2014, nell’ambito del processo ThyssenKrupp).

In secondo luogo, è stata esclusa anche qualsivoglia violazione dell’art. 111 Cost., il quale esprime un principio rivolto principalmente al legislatore affinché predisponga gli strumenti normativi suscettibili di contenere la durata del processo.

Dunque, il regime della prescrizione previsto per gli enti non può certamente considerarsi violativo dell’art. 111, comma 2, Cost., avendo il legislatore previsto un termine prescrizionale breve, pari a cinque anni dalla consumazione dell’illecito, proprio allo scopo di contenere la durata della prescrizione, non lasciando un termine eccessivamente ampio per l’accertamento dell’illecito nella fase delle indagini.

Inoltre, il legislatore ha previsto un regime degli effetti interruttivi in forza del quale la prescrizione non corre fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, bilanciando in tal modo le esigenze di ragionevole durata del processo e quelle di garanzia.

Attraverso tale meccanismo, difatti, sarà difficile che si verifichi la prescrizione nel corso del giudizio.

Inoltre, proprio per evitare che il procedimento a carico degli enti si instauri a notevole distanza dalla commissione del reato presupposto, il decreto 231, con l’art. 60 ha previsto che non si potrà procedere alla contestazione dell’illecito amministrativo nell’eventualità in cui il reato presupposto si sia già estinto per prescrizione.

Anche per ciò che concerne l’art. 41 Cost., la Corte non ha rilevato alcuna violazione, rilevando, al contrario, che la sottoposizione degli enti che svolgono attività economica alla disciplina del decreto 231 costituisce proprio attuazione del precetto costituzionale, mirando ad evitare che l’iniziativa economica privata rappresenti l’occasione per agevolare la commissione di reati.

In ultima analisi, i giudici di legittimità non hanno ritenuto condivisibile la lettura dell’art. 22, comma 4, del decreto 231 proposta dalla società ricorrente secondo cui il riferimento al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio si riferirebbe al giudizio nei confronti della persona fisica, cosicché l’accertamento irrevocabile della penale responsabilità dell’autore del reato farebbe nuovamente decorrere la prescrizione dell’illecito.

La Corte ha ritenuto che tale indicazione si riferisca, senza dubbio alcuno, alla sentenza pronunciata a carico dell’ente, nel giudizio volto all’accertamento del suo distinto titolo di responsabilità. Difatti, accettando la soluzione alternativa, non si terrebbe in conto l’eventualità in cui manchi una sentenza irrevocabile nei confronti dell’imputato persona fisica.

Circostanza, quest’ultima, di possibile verificazione, ai sensi dell’art. 8 del decreto, nei casi in cui l’autore del reato non sia stato identificato o non sia imputabile o qualora il reato si estingua per una causa diversa dall’amnistia.

In conclusione, sulla base di tali assunti, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto di dover rigettare il ricorso proposto dalla società, non ravvisando alcuna violazione dei principi costituzionali ad opera della disciplina della prescrizione degli illeciti amministrativi dell’ente di cui all’art. 22 del decreto 231.

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