Il caso Viareggio, l’incidente ferroviario del 29 luglio 2009, a seguito del quale tragicamente persero la vita 32 persone a causa di un deragliamento ferroviario, ha da sempre fornito notevoli spunti giurisprudenziali in tema di corretta allocazione – ai fini penalistici – della responsabilità penale (a titolo colposo) dei vertici aziendali all’interno di un c.d. gruppo di società.
In un’approfondita nota, diffusa da ASSONIME, viene approfondito il tema delle ripercussioni suscettibili di prodursi nell’allocazione della responsabilità penale – al verificarsi di reati colposi d’evento – all’interno di contesti di “gruppi di imprese”.
Il gruppo di imprese (o di società) è un fenomeno definito dalla dottrina quale un “agglomerato di imprese, formalmente indipendenti centri di imputazione dotati di autonoma personalità giuridica, ma assoggettate tutte ad un’unitaria direzione” (cfr. G. Campobasso), caratterizzato dal perseguimento di un comune interesse di gruppo attuato mediante l’esercizio da parte di una società (definita, appunto, capogruppo o holding) di un’attività di direzione e coordinamento.
Inoltre, in assenza di un riferimento normativo, tale attività è stata qualificata come “una pluralità sistematica e costante di atti idonei ad incidere sulle altrui scelte strategiche e operative di carattere finanziario, industriale, commerciale, che attengono alla conduzione degli affari sociali […] espressione di un potere di ingerenza che si esplica attraverso un flusso costante di istruzioni impartite alla società eterodiretta” (ex plurimis, Trib. Bologna, 9 ottobre 2018; Trib. Napoli, 7 novembre 2019).
Uno degli approdi di maggiore interesse fatti propri dalla Suprema Corte in relazione al c.d. “caso Viareggio” (sentenza n. 32899 del 2021) consiste nel riconoscimento della penale responsabilità – per condotta commissiva, e non omissiva fondata ex art. 40 co. 2 – a titolo di colpa, in capo agli amministratori delegati della holding, per “violazione dei doveri nell’esercizio dei poteri di direzione e coordinamento”.
I punti innovativi, nonché i possibili motivi di frizione sistematica, delle sentenze in commento possono essere così riepilogati.
In primo luogo, la responsabilità penale colposa degli amministratori delegati della holding non è di natura omissiva (ossia ex art. 40 co. 2 c.p. e fondata sul mancato adempimento dei doveri giuridici imposti in forza di una posizione di garanzia) e, soprattutto, non deriva dal riconoscimento in capo agli A.D. della qualifica di “amministratore di fatto” delle società controllate ai sensi dell’art. 2639 c.c.
Tanto premesso, la Suprema Corte addiviene a teorizzare un’innovativa responsabilità colposa c.d. generica dei vertici della holding nascente dallo scorretto adempimento dei poteri di direzione e coordinamento in relazione alla gestione del rischio successivamente concretatosi.
Infatti, la Corte – assolvendo le figure imprenditoriali più prossime alla gestione dell’area di rischio successivamente concretizzatosi (ossia il c.d. rischio da circolazione ferroviaria) – indirizza la responsabilità penale per colpa generica, in primo luogo, nei riguardi delle figure apicali delle varie società controllate e, in ultima istanza, nei confronti dell’amministratore delegato della holding.
Segnatamente, la Suprema Corte – nel confermare la condanna dell’amministratore delegato della holding pronunciata dalla prima Corte d’Appello – ha rinvenuto che costui dovesse rispondere non per una condotta omissiva in forza di una posizione di garanzia ex art. 40 co. 2 c.p. quanto piuttosto per una condotta avente natura commissiva, ossia per avere costui avallato e diffuso – nel contesto societario di gruppo – una politica aziendale suscettibile di incidere negativamente rispetto alla mancata osservanza della regola cautelare finalizzata ad evitare la concretizzazione del rischio effettivamente verificatosi (nel caso di specie, essi avrebbero adottato scelte direttive sminuenti l’obbligo di tracciabilità ed escludendo l’obbligo di adottare il dossier di sicurezza sulla storia manutentiva del carro quale requisito per la circolazione del vagone).
Segnatamente, ad avviso degli Ermellini, la prima Corte d’Appello aveva correttamente identificato l’amministratore delegato quale titolare di una specifica competenza autonoma e diretta nella gestione del rischio da circolazione ferroviaria di talché non fosse necessario individuare i contenuti giuridici di una posizione di garanzia necessaria a fondare una responsabilità da condotta omissiva ma, diversamente, fosse bastevole individuare una regola cautelare (nel caso di specie, la regola cautelare dell’obbligo di tracciabilità fra cui rientra l’obbligo di adottare la documentazione attestante i requisiti di sicurezza in relazione alla manutenzione del carro quale requisito per la circolazione del vagone) la cui violazione legittimasse un addebito a titolo colposo.
In definitiva, le due pronunce in commento (ossia la Cassazione – Sez. IV Pen. n. 32899/2021 e la sentenza della Corte d’Appello di Firenze in sede di rinvio) segnano un importante mutamento giurisprudenziale nella misura in cui – prescindendo dai canoni di contestazione della responsabilità penale a titolo omissivo per violazione dei doveri giuridici fondanti una posizione di garanzia ex art. 40 co. 2 c.p. – teorizzano una peculiare responsabilità dall’A.D. della holding per condotta commissiva, derivante dal colposo esercizio dei poteri di direzione e coordinamento all’interno dei contesti dei gruppi societari fondanti una specifica competenza (diretta e autonoma) nella gestione delle aree di rischio-reato.