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Colpa di organizzazione dell’ente e colpevolezza del responsabile del reato

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18413/2022 della Quarta Sezione Penale, è tornata sull’argomento della responsabilità dell’ente nel caso di commissione di reati colposi, di cui all’art. 25-septies del decreto 231/2001, indicando quali sono gli elementi che delineano la c.d. colpa di organizzazione.

La vicenda posta all’attenzione della Corte riguardava il riconoscimento di responsabilità in capo ad una società vicentina, per aver consentito, stante l’assenza di un MOG adeguato, la commissione del reato di lesioni personali ex art. 25-septies, comma 3, ai danni di una propria dipendente aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche.

Si trattava, quindi, di un reato contestato al legale rappresentante della società asseritamente commesso nell’interesse dell’ente sprovvisto di un modello di organizzazione per la sicurezza sul lavoro e di un organismo di vigilanza che verificasse, in modo sistemico e organico, la rispondenza dei macchinari alle normative comunitarie in tema di sicurezza nonché l’adeguatezza dei sistemi di sicurezza installati sulle stesse.

La società proponeva ricorso per Cassazione dolendosi della violazione di legge e del vizio di motivazione circa le ragioni in forza delle quali la società sia tenuta a rispondere oggettivamente di qualsivoglia atteggiamento, anche istintuale, posto in essere da una lavoratrice esperta che abbia tenuto un comportamento antitetico al modello insegnato e conosciuto, non essendo stato evidenziato, inoltre, dalla Corte territoriale alcun collegamento finalistico tra la violazione prevenzionistica e l’interesse dell’ente né tantomeno alcun vantaggio di cui avrebbe beneficiato l’ente a seguito di tali omissioni.

I giudici di legittimità, per far ordine sulla materia, hanno cristallizzato alcuni concetti ineludibili secondo i quali:

  • la responsabilità amministrativa si configura in capo all’ente collettivo quando la commissione del reato presupposto è funzionale ad uno specifico interesse o vantaggio a favore dell’ente stesso, criteri, questi ultimi, da intendersi come alternativi e concorrenti fra loro;
  • la struttura dell’illecito addebitato all’ente risulta incentrata sul reato presupposto, rispetto al quale la relazione funzionale tra reo ed ente e quella teleologica tra reato ed ente hanno esclusivamente una finalità rafforzativa del rapporto di immedesimazione organica, rifuggendo da un ipotizzabile riconoscimento di responsabilità in capo all’ente per un reato commesso da un soggetto incardinato al suo interno per scopi estranei all’ente medesimo.

Muovendo da tali assunti, la Suprema Corte ha così affermato che l’ente risponde per un fatto proprio e non per un fatto altrui, cosicché per evitare che si configurino profili di responsabilità di tipo meramente oggettivo è necessario, come già affermato con la sentenza n. 27735/2010, che sussista la colpa di organizzazione dell’ente, la quale consiste nel non aver provveduto a predisporre quegli accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello posto in essere, solo attraverso un tale riscontro sarà possibile procedere ad imputare all’ente l’illecito penale realizzato all’interno del suo ambito operativo.

Pertanto, spetterà all’accusa dimostrare l’esistenza e l’accertamento dell’illecito penale in capo alla persona fisica facente parte della compagine dell’ente e che questa abbia agito nell’interesse dello stesso e, accertata tale responsabilità, questa si estenderà all’ente solo una volta accertata la colpa di organizzazione in capo a quest’ultimo. Tale requisito assume la medesima funzione della colpa nel caso del reato commesso dalla persona fisica, quale elemento costitutivo del fatto integrato dalla violazione colpevole della norma cautelare.

Proprio da tale posizione di rilievo riconosciuta in capo alla colpa di organizzazione ne discende che la sola mancata adozione o inefficace attuazione del modello di organizzazione e gestione non può essere considerato elemento costitutivo dell’illecito dell’ente ma è solo una circostanza atta a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione la quale, però, va specificatamente provata dall’accusa, mentre l’ente, all’opposto, potrà dimostrare l’assenza di tale colpa.

Ciò detto, si evidenzia come gli elementi costitutivi dell’illecito dell’ente sono, oltre alla compresenza della relazione organica e teleologica tra il soggetto responsabile del reato e l’ente, anche la colpa di organizzazione, il reato presupposto e il nesso causale che tra i due deve intercorrere.

Alla luce di tali considerazioni, nel caso di specie, la corte territoriale si era limitata ad addebitare all’ente esclusivamente l’assenza di un modello organizzativo senza soffermarsi a specificare i profili in cui si sarebbe esplicata la colpa di organizzazione e da cui sarebbe derivato il reato presupposto, elemento che è, si ribadisce, diverso dalla colpa riconducibile ai soggetti apicali, con la conseguenza che, altrimenti, si andrebbero a confondere i profili di responsabilità da reato degli amministratori/datori di lavoro da quelli da illecito amministrativo, caratterizzati dalla colpa di organizzazione, e cioè un assetto organizzativo negligente proprio dell’organizzazione dell’ente che abbia consentito al soggetto organico all’ente di commettere il reato .

L’illecito imputabile all’ente sarà così configurabile solo ove siano riscontrabili le mancanze o le inadeguatezze delle cautele predisposte per la prevenzione dei reati previsti dal decreto 231. Carenze, queste, la cui ricorrenza giustificherà il rimprovero e l’imputazione dell’illecito al soggetto collettivo, purché la colpa di organizzazione sia rigorosamente provata e non sovrapposta alla colpevolezza del responsabile del reato.

La Quarta Sezione della Suprema Corte, nel caso di cui ci si occupa, ha così deciso di annullare la sentenza impugnata per carenza della motivazione, non essendo stata fornita alcuna indicazione circa la concreta configurabilità della colpa di organizzazione, facendo discendere la responsabilità della società dalla sola sussistenza del reato presupposto e dal rapporto di immedesimazione organica dell’agente invece di procedere ad approfondire gli aspetti circa il concreto assetto organizzativo adottato dall’impresa in tema di prevenzione dei reati del tipo di quello occorso evidenziando, così, l’eventuale presenza di deficit di cautela, causalmente collegati con il reato presupposto.

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