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Sicurezza sul lavoro e profili di responsabilità del datore di lavoro

In tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità dell’amministratore della società, a cui formalmente fanno capo il rapporto di lavoro con il dipendente e la posizione di garanzia nei confronti dello stesso, non viene meno per il fatto che il menzionato ruolo sia meramente apparente, essendo invero configurabile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 299 d.lgs. 8 aprile 2008, n. 81, la corresponsabilità del datore di lavoro e di colui che, pur se privo di tale investitura, ne eserciti, in concreto, i poteri giuridici.

Questo è il principio di diritto enunciato dalla Quarta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 30167 del 12 luglio 2023, chiamata a pronunciarsi sulla configurabilità o meno della responsabilità penale in capo al datore di lavoro a seguito della morte di un dipendente.

Il caso traeva origine dalla contestazione mossa nei confronti di un datore di lavoro per il reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme antinfortunistiche ai danni di un operaio deceduto, dipendente della propria azienda. Egli, trovandosi su un’impalcatura priva dei requisiti tecnici richiesti precipitava al suolo da un’altezza pari a circa sei metri, perdendo successivamente la vita.

La Corte di Appello, modificando la sentenza di primo grado solo per ciò che concerne il trattamento sanzionatorio, conferma la penale responsabilità degli imputati.

Avverso tale sentenza propongono ricorso per Cassazione gli imputati dolendosi dell’erronea applicazione della legge penale per avere, la Corte territoriale, seguito un iter logico diverso da quello indicato in motivazione e sostenendo che in capo al datore di lavoro non fosse configurabile una posizione di garanzia così come richiesta dalla legge in tema di reati colposi omissivi, poiché egli era solo formale intestatario della ditta, non essendosi mai interessato in concreto alla gestione di tale attività.

I giudici di legittimità, chiamati a pronunciarsi sulla questione, hanno ripercorso il tema della rimproverabilità che attiene ai reati colposi in materia antiinfortunistica affermando che la stessa deve essere riferita anche all’assunzione solo formale della carica di legale rappresentante della società alla cui dipendenze è posto il lavoratore.

Difatti, escludendo una tale possibilità si andrebbe a svuotare di significato la responsabilità penale colposa derivante da una posizione di garanzia, vanificando così la cogenza della tutela penale per omissione di cautele doverose per la salvaguardia di soggetti ritenuti bisognevoli di protezione.

Dove per posizione di garanzia si intende che l’agente si trovi in una situazione di prossimità con il bene da tutelare, sia titolare di poteri ed obblighi che gli consentono di attivarsi onde evitare la lesione o messa in pericolo del bene giuridico la cui integrità egli deve garantire ai sensi dell’art. 40, comma 2, cod. pen.

La fonte di un tale obbligo trova origine proprio nella titolarità del rapporto di lavoro in capo all’imputato che ha assunto la veste di amministratore dell’impresa, impegnandosi contrattualmente.

Una tale interpretazione trova conforto nel combinato disposto degli artt. 2 e 299 del decreto legislativo 81 del 2008, i quali definiscono la qualifica di datore di lavoro, inteso quale soggetto che riveste una posizione di garanzia indipendentemente dalla effettività dello svolgimento delle mansioni tipiche imprenditoriali e datoriali, perimetrando in tal modo anche l’esercizio di fatto delle funzioni tipiche del datore di lavoro.

Pertanto, tranne nei casi in cui siano configurabili apposite deleghe di funzioni che riguardino ambiti ben definiti, disciplinate dall’art. 16 del medesimo decreto, permane sempre in capo al datore di lavoro la posizione di garanzia attribuitagli dalla legge.

Dunque, gli Ermellini, ribadendo i precedenti giurisprudenziali secondo cui la responsabilità dell’amministratore della società, in ragione della propria posizione di garanzia assegnatagli dall’ordinamento, non viene meno per il fatto che il ruolo rivestito sia meramente apparente e in ossequio al combinato disposto degli artt. 2 e 299 D. Lgs. 81/2008, hanno affermato come, nel caso di specie, il fatto che il datore di lavoro rivestisse tale qualifica solo formalmente, non costituisce causa di esonero da responsabilità nel caso di omissione delle cautele prescritte in materia antiinfortunistica, configurandosi invero una corresponsabilità sia del formale titolare della qualifica di datore di lavoro, sia di colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, ne eserciti in concreto i poteri giuridici.

Ove si presenti una circostanza di tal genere, nei confronti dell’ente potrà essere elevata un’imputazione per il connesso illecito amministrativo disciplinato dall’art. 25-septies D.lgs. 231/2001 derivante dal reato presupposto di omicidio colposo per violazione delle norme antinfortunistiche, nel caso in cui si provi che il reato è stato compiuto nell’interesse dell’ente medesimo, al fine di conseguire un risparmio di spesa ottenuto ponendo in essere la condotta omissiva da cui è discesa la morte del lavoratore.

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