L’imputato persona fisica, autore del reato presupposto, anche quando sia rappresentante legale e socio della persona giuridica, non ha interesse né è legittimato ad impugnare la sentenza di condanna dell’ente.
Con la sentenza n. 47023/2023, la Corte di Cassazione, III Sez., ha ribadito questo importante principio in materia di responsabilità da reato degli enti.
Il caso di specie traeva origine dalla sentenza della Corte d’Appello di Roma, la quale, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava una società cooperativa responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato contestati, condannandola al pagamento della sanzione pecuniaria ed ordinando, contestualmente, la confisca dei beni sequestrati, costituenti prezzo e profitto del reato.
Un socio della predetta società ricorreva per Cassazione lamentando, fra le varie doglienze, la violazione dell’art. 39 d.lgs. 231/2001 e la nullità della sentenza che ha condannato l’ente per la mancanza di una valida costituzione nel procedimento della cooperativa, rappresentata in primo e secondo grado, da un difensore di fiducia validamente nominato dall’amministratore, indagato e poi imputato del reato presupposto.
Il procuratore Generale, successivamente, chiedeva l’inammissibilità del ricorso, in quanto sarebbe stato presentato da un socio della cooperativa, non legittimato ad impugnare.
L’art. 39, sopra richiamato, stabilisce che l’ente partecipa al procedimento con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo – come nel caso di specie – e che, qualora non compaia, l’ente è rappresentato dal difensore.
La Suprema Corte rileva che, “l’imputato persona fisica, autore del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, anche quando sia rappresentante legale e, insieme, socio della persona giuridica, non è legittimato né ha interesse ad impugnare il capo della sentenza relativo all’affermazione di responsabilità dell’ente, essendo quest’ultimo l’unico soggetto legittimato all’impugnazione”.
Nel ribadire questo principio la Corte richiama un importante precedente (la sentenza n. 35442, II sez., del 23/05/2019) secondo cui sarebbero irrilevanti le conseguenze economiche indirette o riflesse che potrebbero riverberarsi nella sfera soggettiva del socio o dell’amministratore, a seguito dell’irrogazione delle sanzioni, a maggior ragione quando l’ente vanta personalità giuridica ed è dotato di piena autonomia patrimoniale.
La Corte di legittimità precisa come, coerentemente con i principi di tassatività dei mezzi di impugnazione, nonché secondo l’art. 71 d.lgs. 231/2001, salvo che non si tratti di sanzioni interdittive, l’ente può proporre impugnazione nei casi e nei modi stabiliti per l’imputato cui è riferito l’illecito amministrativo.
Il ricorso, dunque, è stato dichiarato inammissibile, non essendo ravvisabile un autonomo interesse dell’imputato nemmeno nel caso in cui dalla condanna della persona giuridica possano derivare conseguenze economiche indirette per la sua posizione di socio o amministratore della medesima.
In conclusione, la Suprema Corte rileva proprio come il ricorrente sia un socio della cooperativa e non sia mai stato rappresentante legale della stessa, né abbia mai dedotto uno specifico, concreto ed attuale interesse personale ad ottenere l’annullamento della sanzione comminata alla società e della relativa sentenza.