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Gli obblighi di nomina del committente e del coordinatore per la sicurezza al verificarsi di situazioni di pericolo

Il committente ha l’obbligo, ai sensi dell’art. 90, comma 4, del D. Lgs. 81/2008, di nominare il coordinatore per la sicurezza (CPS), il quale, oltre agli obblighi direttamente correlati al rischio di interferenze tra le diverse imprese lavoratrici, ha un più generale obbligo di sospensione dei lavori ogni qualvolta abbia contezza di una situazione di pericolo grave e imminente.

Questi i principi cristallizzati con la sentenza n. 42845 del 2023 dalla Quarta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda originata da una serie di reati colposi verificatisi in occasione della costruzione di un palco per un concerto di un noto cantante italiano.

Nel caso de quo, in primo grado, il legale rappresentante della società organizzatrice dell’evento era stato condannato per il disastro colposo da crollo della struttura, per l’omicidio colposo di un lavoratore aggravato dalla violazione della normativa sugli infortuni sul lavoro, nonché per vari episodi di lesioni colpose. Il focus della vicenda si pone sul ruolo di committente rivestito dall’imputato e sugli obblighi che, in base alla normativa antinfortunistica, gravano su tale figura e, nel caso in oggetto, per il fatto di non aver ottemperato all’obbligo di nominare il coordinatore per la sicurezza (CPS).

Si è proceduto all’affermazione di responsabilità attraverso l’accertamento di una doppia omissione, quella direttamente attribuita al committente, per non aver nominato il CPS e la seconda riferibile al coordinatore, per l’omesso esercizio di poteri inibitori di eventi offensivi dell’integrità fisica dei lavoratori, quest’ultima solo virtuale, imputabile al committente in ragione della prima.

Tuttavia, in secondo grado, la Corte di Appello di Trieste pronunciava sentenza assolutoria nei confronti dell’imputato.

I giudici del gravame hanno difatti ritenuto dubbio che, tra i compiti del coordinatore, rientrasse quello di vigilare sull’innalzamento della struttura crollata, avendo egli solo compiti di alta vigilanza, inerenti alla generale configurazione delle lavorazioni che comportano un rischio interferenziale, ma non anche quelli di un puntuale controllo delle singole attività lavorative, demandato ad altre figure operative, fatto salvo l’obbligo di cui all’art. 92, lett. f), D. Lgs. n. 81/2008, di adeguare il POS (Piano Operativo di Sicurezza) in relazione all’evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni sino alla verifica degli avvenuti adeguamenti, sicché può esser chiamato a rispondere solo di infortuni che siano riconducibili a carenze organizzative generali di immediata percepibilità.

Nella specie, dunque, il vizio non è stato ritenuto immediatamente percettibile e il coordinatore non avrebbe avuto l’obbligo di attivarsi, atteso che il rischio concretizzatosi non era collegato ai suoi doveri di alta vigilanza, bensì a un vizio occulto, percepibile solo da un soggetto esperto.

Avverso tale decisione proponevano ricorso per Cassazione il Procuratore Generale e la parte civile dolendosi, attraverso più motivi di doglianza, di plurime violazioni di legge nonché del vizio di motivazione della sentenza che aveva ribaltato gli esiti decisori del primo grado senza specificarne le ragioni.

I giudici della Suprema Corte, ritenendo i ricorsi fondati, hanno in primo luogo affermato che la Corte territoriale ha disatteso il proprio obbligo di fornire una motivazione di tipo rafforzato, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni disattese, oltre ad aver confuso i due piani della causalità della colpa e della colpa in senso soggettivo.

Richiamando consolidati precedenti giurisprudenziali, la Corte ha affermato che, ai fini della verifica della ricorrenza di un rischio interferenziale, occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro ma all’effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l’incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte, mentre, quanto ai compiti del CPS, egli è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto gli spettano compiti di “alta vigilanza”, aventi ad oggetto esclusivamente il rischio c.d. generico, relativo alle fonti di pericolo riconducibili all’ambiente di lavoro, alle modalità organizzative, alle procedure lavorative ed alla convergenza di più imprese; non rispondendo, pertanto, degli eventi riconducibili al c.d. rischio specifico, proprio dell’attività dell’impresa appaltatrice o del singolo lavoratore.

Sempre avendo riguardo ai precedenti affermati dalla Quarta Sezione della Suprema Corte, il coordinatore, oltre ai compiti specificamente assegnatigli dall’art. 92 citato, svolge una autonoma funzione di alta vigilanza sulla generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale e, sebbene non sia tenuto a un puntuale controllo delle singole attività lavorative, mantiene l’obbligo di attivarsi, in caso di sussistenza di un pericolo, nei termini di cui all’art. 92 c. 1, lett. f), cit.

Tale ultimo obbligo, tuttavia, non è correlato alla natura del rischio interferenziale che è chiamato a gestire, poiché egli risponde per colpa in omissione, allorquando versi in condizioni di avvedersi o essere informato dell’esistenza di un pericolo grave e imminente e rimanga inerte, a prescindere dal fatto che il pericolo sia correlato a un rischio interferenziale, ove il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica.

Nella vicenda de qua, la particolarità è data dal fatto che il giudizio controfattuale va commisurato all’astratta esistenza della figura di gestore mancante, secondo una sequenza fisiologica astratta, per la quale, esistendo detta figura di garante e configurati normativamente i suoi obblighi di controllo e i suoi poteri inibitori, l’indagine riguarderà l’efficacia/inefficacia sul decorso causale della condotta doverosa esigibile nel caso concreto.

Alla luce di tali considerazioni, gli Ermellini hanno affermato come la Corte d’Appello di Trieste è incorsa nelle violazioni di legge dedotte dai ricorrenti. La stessa, senza confrontarsi con i dati fattuali e il ragionamento predittivo operati e valorizzati dal primo giudice, ha ritenuto del tutto irrilevante la presenza del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, operando un giudizio unitario sulla causalità della colpa e sulla colpa in senso soggettivo.

Quanto al primo aspetto, ha escluso in maniera apodittica che l’evento fosse stato conseguenza del concretizzarsi di un rischio interferenziale, derivandone così l’assenza di un obbligo di attivazione del coordinatore e, quanto al secondo aspetto, ha ritenuto che, anche a voler ipotizzare l’esistenza di un rischio interferenziale, il coordinatore non avrebbe potuto rendersi conto del pericolo grave e imminente di crollo, posto che lo stesso era stato conseguenza di un errore di calcolo del progettista e che il rischio evoluto nella produzione dell’evento aveva riguardato la fase che competeva all’appaltatore.

La contraddizione è lapalissiana a giudizio della Suprema Corte.

Difatti, con riferimento alla colpa in senso soggettivo, nell’ipotesi di cui all’art. 90, comma 4, D. Lgs. n. 81/2008, il committente deve designare, ancor prima dell’affidamento dei lavori, un coordinatore che sia in possesso dei requisiti di cui all’art. 98 (del correlato titolo di studio, di esperienza nello specifico settore della sicurezza e della prevenzione). Pertanto, è del tutto incongrua, rispetto al paradigma legale, l’affermazione della Corte secondo la quale il coordinatore non avrebbe potuto percepire il pericolo grave e imminente di cedimento, non essendo in possesso di competenze pari a quelle del progettista.

I giudici di legittimità, alla luce dell’evidente contraddizione motivazionale e della manifesta infondatezza delle ragioni fornite, hanno dunque ritenuto di dover annullare con rinvio la sentenza impugnata.

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