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Il profitto quale risparmio di spesa nel traffico illecito di rifiuti

Il profitto del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti può avere ad oggetto un risparmio di spesa.

Tale principio è stato enunciato dalla Terza Sezione Penale della Suprema Corte che, con sentenza n. 45314 del 4 ottobre 2023 (dep. 10 novembre 2023), è intervenuta in tema di individuazione del profitto del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 452-quaterdecies c.p., ribadendo che il profitto di un reato può consistere in un risparmio di spesa.

Questa conclusione, affermata anche da due sentenze delle Sezioni Unite, Cass. pen., sez. un., 31 gennaio 2013, n. 188374 e Cass. pen., sez. un., 24 aprile 2014, n. 38342, si fonda sulla premessa secondo cui l’idea di profitto non può non essere conformata in guisa che sia coerente con le caratteristiche della fattispecie cui si riferisce.

E, quindi, è riferibile a tutte le fattispecie di reato rispetto alle quali il risparmio di spesa si presenta come una forma di profitto «coerente», ossia come “risultato” derivante dalla condotta integrante il fatto tipico.

Ciò posto, tra le fattispecie rispetto alle quali il risparmio di spesa si presenta come una forma di profitto «coerente» è senz’altro da annoverare anche quella prevista dall’art. 452-quaterdecies c.p. Appare sufficiente rilevare in proposito che, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il profitto «ingiusto» del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti può consistere anche nel vantaggio conseguente dalla mera riduzione dei costi aziendali (Cass. pen., sez. III, 28 febbraio 2019, n. 16056).

Precisato che il profitto del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti può avere ad oggetto un risparmio di spesa, occorre esaminare qual è l’ambito applicativo di tale nozione.

Punto di partenza è offerto, pure a questo proposito, dalla consolidata elaborazione giurisprudenziale.

Secondo il costante insegnamento, anche delle Sezioni Unite, il profitto deve essere «identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato» (così, per tutte, Cass. pen., sez. un., 26 giugno 2015, n. 31617).

E questo principio trova costante applicazione pure quando il profitto è costituito da un risparmio di spesa.

Ma quando può ritenersi che un risparmio di spesa costituisca vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato?

Sembra ragionevole ritenere che il risparmio di spesa costituente vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato sia quello attinente a quei costi “doverosi” che vengano “evitati”, o comunque non “esborsati”, proprio a causa dell’illecito, quale indefettibile conseguenza di quest’ultimo, e la cui identità sia oggettivamente individuabile ed economicamente valutabile.

Va tuttavia precisato che la valutazione economica del risparmio di spesa, se richiede una precisa individuazione delle “voci” di costo illecitamente “evitate”, può essere fondata anche su criteri elaborati sulla base di dati statistici o di mercato in ordine al “valore” di queste ultime.

Invero, una volta che le spese risparmiate siano esattamente individuate nella loro identità e nella loro diretta derivazione causale dal reato, sarebbe del tutto irragionevole escludere l’applicazione di criteri di stima in grado di quantificarle secondo un alto grado di probabilità logica: ad opinare diversamente, si escluderebbe l’ablazione del profitto ingiusto che il reo ha realizzato mediante l’illecito penale, sebbene questo sia certo nel suo essersi verificato, e plausibilmente determinabile nel suo concreto ammontare secondo criteri condivisi tra gli esperti, in contrasto con la volontà del legislatore che ne ha specificamente disposto la confisca.

Di conseguenza, in relazione al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, potrà ritenersi profitto confiscabile il mancato “esborso” di quei costi “doverosi” evitati proprio, e specificamente, a causa della commissione della condotta illecita, e la cui identità sia oggettivamente individuabile ed economicamente valutabile sulla base di criteri in grado di assicurarne la quantificazione secondo un alto grado di probabilità logica.

Nel caso in esame, gli Ermellini hanno sottolineato la piena congruità motivazionale dell’ordinanza, pronunciata in materia di misure cautelari reali, con la quale il Tribunale ha osservato in particolare che la società preposta alla gestione della discarica non aveva le risorse finanziarie necessarie a fare fronte al trattamento di tutto il percolato prodotto e che, quindi, la stessa ha “improntato la sua attività su un risparmio di spesa indebito” o, in altre parole, profitto confiscabile.

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