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La posizione del committente e la gestione del rischio in materia di infortuni sul lavoro

La posizione del committente quale soggetto gestore del rischio in materia di infortuni sul lavoro va individuata, da un lato, con riferimento alla scelta dell’impresa appaltatrice, dall’altro, avuto riguardo all’obbligo di vigilanza sull’adozione, da parte del datore di lavoro, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro e sull’adempimento degli obblighi propri del coordinatore dallo stesso nominato.

Con la sentenza n. 1723/2024, la IV Sez. della Suprema Corte di Cassazione torna ad occuparsi di un tema nevralgico in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, concernente l’esatta portata della posizione di garanzia che grava in capo al committente in occasione di infortuni subiti dal lavoratore durante l’esecuzione di una prestazione oggetto di appalto.

Nel caso di specie, il Responsabile dei lavori commissionati ad una ditta appaltatrice era stato condannato in primo grado dal Tribunale di Cremona per omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme in materia di infortuni sul lavoro per aver omesso di verificare il corretto adempimento degli obblighi di cui all’art. 92, comma 1, lett. a) e b) del d.lgs. n. 81/2008 (Testo Unico Salute Sicurezza Lavoro), che imponevano alla ditta appaltatrice di adeguare il Piano di sicurezza e coordinamento (PSC) e il relativo Piano operativo per la sicurezza (POS) in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute durante lo svolgimento degli stessi.

Secondo la ricostruzione del giudice di prima cure, l’omessa vigilanza da parte del Responsabile aveva causato il decesso di un lavoratore, colpito dalla benna di una ruspa durante l’esecuzione di lavori di demolizione i cui rischi non erano stati correttamente previsti e gestiti all’interno del Piano di sicurezza e coordinamento, trattandosi di lavori conferiti solo “in corso d’opera” e, di conseguenza, non contemplati nell’originario oggetto di appalto.

In ragione di ciò, ad avviso del giudice di primo grado, il Responsabile dei lavori, ancor prima di conferire tali ulteriori incarichi di demolizione che involgevano rischi nuovi e diversi rispetto a quelli originariamente previsti, avrebbe dovuto attivarsi per “stimolare” le altre figure della prevenzione (ossia il coordinatore della sicurezza con riferimento al PSC e il datore di lavoro dell’impresa appaltatrice per il POS) affinché provvedessero all’aggiornamento dei Piani di sicurezza alla stregua delle necessità operative sopravvenute attraverso l’introduzione di una disciplina ad hoc.

Sotto tale profilo, il Tribunale di Cremona non riteneva sufficiente la prescrizione di sicurezza, già contenuta all’interno del PSC, che vietava, nell’ambito dei lavori di scavo con mezzi meccanici, di eseguire “altri lavori” comportanti la presenza di manodopera nel campo di azione dell’escavatore, posto che l’infortunio non si era verificato nell’ambito di “altri lavori”, ma durante l’esecuzione di operazioni ancillari e strumentali (ossia quelle di demolizione) rispetto all’esecuzione del lavoro principale.

Avverso la sentenza di condanna, confermata in punto di responsabilità dalla Corte di appello di Brescia, proponevano ricorso i difensori dell’imputato, ritenendo fallace il percorso logico seguito dai giudici di merito.

La difesa, in estrema sintesi, rilevava che la previsione esecutiva già contenuta nei documenti di sicurezza fosse esaustiva e chiara, essendo arbitrario disquisire in ordine alla “ancillarità” della lavorazione specifica rispetto a quella principale; riteneva inoltre non provato il collegamento causale tra l’asserita regola violata e l’evento lesivo occorso, posto che la valutazione dei rischi e l’individuazione delle misure preventive non avrebbero potuto essere diverse da quelle già contenute nei documenti per la sicurezza.

La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi in ordine al ricorso, ha provveduto a chiarire gli esatti confini della posizione di garanzia che grava in capo al Responsabile dei lavori.

Sotto tale profilo i giudici di legittimità hanno ritenuto che gli obblighi cui quest’ultimo è tenuto siano perfettamente coincidenti con quelli che incombono in capo al committente, posto che la posizione del Responsabile è diretta conseguenza della designazione da parte del committente che ne comporta l’esonero da responsabilità limitatamente all’incarico conferito.

Di conseguenza la posizione del Responsabile, ove nominato quale soggetto gestore del rischio in materia di infortuni sul lavoro, va individuata: “da un lato, con riferimento alla scelta dell’impresa appaltatrice, dall’altro, avuto riguardo all’obbligo di vigilanza sull’adozione da parte del datore di lavoro delle misure generali di tutela della salute della sicurezza sui luoghi di lavoro e sull’adempimento degli obblighi propri del coordinatore dallo stesso nominato”.

Ciò premesso, la Suprema Corte ha ritenuto di accogliere il ricorso proposto dalla difesa, sostenendo che la prescrizione esecutiva già contenuta all’interno dei piani fosse sufficiente a ritenere adeguatamente previsto e gestito il rischio connesso all’intervento di demolizione, posto che la dizione “altri lavori” era letteralmente riferita ad attività implicanti la presenza di manodopera nel raggio di azione del mezzo meccanico e non ad attività ulteriori eseguite con lo stesso mezzo. Sulla base di tali argomentazioni, i giudici di legittimità hanno annullato con rinvio ad altra sezione la sentenza della Corte di Appello di Brescia, ritenendo assorbita ogni ulteriore censura, inclusa quella relativa al nesso di causalità.

La pronuncia è di interesse sotto diversi profili.

In primis occorre rilevare come nel caso di specie la Suprema Corte abbia confermato un principio di diritto già espresso in numerose altre occasioni (Cfr., ad esempio, Cass., sez. IV, n. 20122/2022, in materia di subappalto) secondo cui “il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un’unica ditta appaltatrice, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l’infortunio, sia per la scelta dell’impresa sia in caso di omesso controllo dell’adozione, da parte dell’appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (…)”.

In secondo luogo, tale sentenza offre l’occasione per soffermarsi su un’ulteriore questione che nel caso in esame non è stata oggetto di approfondita disamina, ma che assume cruciale rilevanza in materia di responsabilità del committente, ossia quella relativa all’accertamento del nesso di causalità.

Va ricordato infatti il consolidato principio secondo cui, “in caso di affidamento di lavori in appalto, per valutare la responsabilità del committente, in caso di infortunio, occorre verificare in concreto l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo” (Cfr., ex multis, Cass., sez. IV, n. 7919/2020).

Da ultimo, si segnala come il caso di specie sia fortemente connesso al tema della responsabilità da reato dell’ente ai sensi del D.lgs. 231/2001, in quanto, come è stato affermato a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il vantaggio di cui all’art. 5 del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, operante quale criterio di imputazione oggettiva della responsabilità, può consistere anche nella velocizzazione degli interventi che sia tale da incidere sui tempi di lavorazione e nel conseguente aumento di produttività.

Sotto questo profilo, l’ente appaltante, per evitare ogni forma di responsabilità a seguito di eventi lesivi verificatisi nei luoghi di lavoro, dovrà necessariamente dotarsi di un modello organizzativo idoneo a prevenirne la verificazione (ex art. 6 del D.lgs. 231/2001).

Tale modello, in particolare, dovrà rispondere alle seguenti esigenze:

  • previsione e valutazione dei rischi che riguardino i rapporti con fornitori, appaltatori e subappaltatori, con specifico riferimento al c.d. “rischio interferenziale”;
  • previsione di idonee procedure per la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente, con particolare riferimento alle fasi di programmazione, affidamento ed esecuzione dei contratti;
  • adozione di modalità di gestione delle risorse economiche idonee ad impedire la commissione di reati e che consentano l’approvvigionamento di attrezzatture, prodotti e servizi che assicurino la sicurezza dei lavoratori;
  • previsione di un appropriato sistema di trasmissione delle informazioni all’Organismo di Vigilanza;
  • previsione di misure di tutela dei dipendenti che denunciano illeciti;
  • introduzione di strumenti di monitoraggio e verifica volti a valutare l’efficacia delle misure introdotte e l’effettiva utilizzazione del Modello attraverso la previsione di appositi organismi deputati allo svolgimento di tali attività.
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