PRATICHE DI MUTILAZIONE DI ORGANI GENITALI FEMMINILI (ART. 25quater.1)
– Profili normativi, trattamento sanzionatorio e linee guida per la redazione del Modello Organizzativo
Introduzione
La legge 9 gennaio 2006 n.7, che ha posto in essere un articolato sistema di promozione di attività finalizzate alla prevenzione di pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, alla sensibilizzazione delle parti a vario titolo coinvolte e alla diffusione di informazioni in merito, ha introdotto l’art. 583 bis c.p. e lo ha inserito nel novero dei reati presupposto per l’ente.
La ratio risiede nella necessità di confrontarsi con una pratica che, pur estranea alla cultura occidentale, di fatto ha iniziato a farne parte a causa del rilevante flusso migratorio e della presenza nel nostro Paese di moltissime donne che hanno subito mutilazioni genitali di vario genere.
Si tratta di un fenomeno culturale, non religioso (decisamente lontano dalla nostra cultura e religione), che ritiene indispensabile, nell’interesse delle donne e della comunità, togliere a costoro la fonte del piacere sessuale al fine di preservarne la verginità e assicurarne la fedeltà al marito.
Prima dell’inserimento del nuovo reato, la condotta era punita a titolo di lesioni colpose. Si è ritenuto opportuno inserire il delitto nel catalogo dei reati presupposto per indurre le strutture in cui potenzialmente potrebbe eseguirsi una pratica di mutilazione genitale ad adottare tutte le precauzioni possibili per evitare rischi, cercando di eliminare l’esecuzione di questa pratica illecita.
- Il reato presupposto
Il reato presupposto di cui all’art. 25quater.1 del D. Lgs. 231/2001 (“pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili”) è l’art. 583 bis del c.p.
Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità.”
L’elemento soggettivo che sorregge la fattispecie è quella del dolo specifico di menomazione delle funzioni sessuali. Il tentativo è configurabile.
- Trattamento sanzionatorio
In relazione alla commissione dei delitti di cui all’art. 583 bis del c.p. si applicano all’ente, nella cui struttura è commesso il delitto, la sanzione pecuniaria:
– da 300 a 700 quote;
– le sanzioni interdittive per una durata non inferiore ad un anno;
– nel caso in cui si tratti di un ente privato accreditato, è altresì l’accreditamento.
Qualora l’ente o una sua unità organizzativa fossero stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di tale delitto, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività (art. 16, comma 3).
In relazione a tali fattispecie, va precisato che la commissione dei reati che qui vengono in rilievo non rientra nell’ambito dei rischi ordinari ai quali è sottoposta l’impresa.
Tra le aree di rischio viene in rilievo l’attività svolta dalle strutture sanitarie (cliniche private, studi medici, ospedali ecc.)
Tutte le strutture sanitarie di natura privatistica, costituite sottoforma di società o associazioni, sono assoggettate al d.lgs. 231/2001, così come lo sono quelle accreditate al Sistema Sanitario Nazionale, essendo autorizzate ad erogare prestazioni sanitarie.
Le strutture sanitarie organizzate sottoforma di attività economiche non possono essere escluse dall’applicazione del decreto in questione, per il solo fatto che eroghino prestazioni sanitarie.
Restano esclusi, dunque, esclusivamente quegli enti che rientrano nella categoria di enti pubblici non economici (es. Aziende Sanitarie Locali). Si tenga conto, da ultimo, del fatto che potrebbero risultare destinatari della contestazione, quali destinatari della norma, anche istituti di credito e assicurazioni che abbaino concesso credito alle strutture sanitarie nella consapevolezza dell’attività illecita svolta e al fine di consentire la prosecuzione.
Tale scelta legislativa, decisamente severa, è giustificata dalla gravità del reato previsto e punito dall’art. 582 bis c.p.