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Riforma fiscale: in ambito penale, assume rilievo l’omesso versamento per sopravvenuta impossibilità di far fronte al pagamento

  1. Omesso versamento in condizioni di “crisi di liquidità”

È da tempo dibattuto se, in tema di reati tributari, possano assumere rilievo “esimente” le circostanze in cui l’inadempimento dell’obbligazione tributaria dipenda da condizioni di impossibilità materiale di adempiere al pagamento. In altri termini, si fa riferimento a quelle circostanze – verosimilmente frequenti nella prassi aziendale – in cui l’impresa affronti una “carenza di liquidità” tale da non permettere il pagamento del tributo al momento di scadenza dell’obbligazione fiscale.

Il tema assume rilievo centrale soprattutto in relazione ai c.d. reati di “omesso versamento”, con specifico riferimento alle ipotesi di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali (art. 10-bis del d.lgs. 74/2000) e omesso versamento IVA (art. 10-ter del d.lgs. 74/2000).

In linea generale, la questione è centrale in relazione a tutte quelle fattispecie di reato la cui condotta tipica, nella quale si annida il disvalore del fatto, sia costituita dall’omesso versamento di somme dovute nei confronti dell’Erario a seguito della realizzazione del presupposto che fa sorgere l’obbligazione tributaria.

Escludendo i fenomeni aziendali “patologici”, caratterizzati dall’inserimento dell’impresa in contesti di frodi fiscali complesse (es. le società cartiere nelle c.d. “frodi carosello”), da una breve panoramica delle quotidiane dinamiche aziendali emerge, invero, che sono frequenti gli episodi in cui l’imprenditore, sebbene disponga di sufficienti risorse economiche per far fronte all’obbligazione tributaria al momento della realizzazione del suo presupposto, possa poi versare in condizioni di “crisi di liquidità” al momento della scadenza del termine di pagamento dei tributi, trovandosi nell’impossibilità materiale di adempiere.

Tanto premesso, in giurisprudenza si è tentato di valorizzare – con finalità latamente esimenti – quelle ipotesi in cui l’impossibilità di adempiere al tributo, a causa di crisi di liquidità, sia sopravvenuta al sorgere dell’obbligazione tributaria e, soprattutto, non dipenda da cause imputabili al contribuente. In tal senso, esempio tipico è quello dell’imprenditore che – trovandosi in crisi di liquidità – decida di adempiere, a discapito del fisco, a quei debiti maggiormente impellenti per garantire la prosecuzione e la continuità dell’attività d’impresa, fra cui gli stipendi dei propri dipendenti o alcuni creditori/fornitori onde evitare l’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale.

  1. La giurisprudenza sull’omesso versamento per “crisi di liquidità”

Come detto, la giurisprudenza ha tentato di recepire le indicazioni provenienti dalla dottrina nel senso di attribuire efficacia “esimente” alle ipotesi di omesso versamento a causa di “crisi di liquidità”.

Ad oggi, sono ondivaghi gli orientamenti che si sono formati in seno alla giurisprudenza di legittimità: se, da una parte, la materiale impossibilità di adempiere all’obbligazione tributaria (alla scadenza del termine decorso il quale la condotta assume rilievo penale) per causa sopravvenuta e non imputabile al debitore può assumere valenza esimente, dall’altra questa è sottoposta a rigide condizioni di operatività.

In primo luogo, la materiale impossibilità di adempiere al tributo – alla scadenza del termine penalmente rilevante – per causa non imputabile al contribuente (c.d. “crisi di liquidità” sopravvenuta) non è di per sé idonea ad escludere la responsabilità penale, ma deve essere accompagnata da ulteriori stringenti requisiti di condotta (v. infra, par. 3).

Inoltre, è necessario che la “crisi di liquidità”, che si invoca a proprio discarico, sia dipesa da “fattori eccezionali”, non preventivati e non prevedibili nell’ordinario svolgimento dell’attività d’impresa. Sul punto, in tema di omesso versamento IVA, nessun rilievo assume l’ipotesi di inadempimento dovuto alla mancata riscossione IVA sul cessionario del bene/prestazione a seguito di emissione della fattura: in tal caso, l’inadempimento del cessionario/beneficiario non può essere considerato un “evento eccezionale e imprevedibile”, dovendo semmai il contribuente dimostrare “i motivi eccezionali che hanno giustificato l’emissione della fattura anticipatamente alla ricezione del corrispettivo (Cass. Pen., Sez. III, n. 23796/2019; Cass. Pen., Sez. III, n. 41070/2019).

Più precisamente – in caso di omesso versamento IVA per mancanza di liquidità a causa dell’inadempimento contrattuale del debitore (cessionario della prestazione) che, ricevuta la fattura, ne omette il pagamento – la giurisprudenza ha ritenuto che “l’obbligo del predetto versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all’ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi (Cass. Pen., Sez. III, n. 27202/2022).

In generale, affinché la “crisi di liquidità” sopravvenuta possa assumere valenza esimente, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente richiesto che il contribuente/imprenditore abbia “adottato tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo, ossia si sia diligentemente attivato al fine di reperire – anche facendo ricorso ad istituti di finanziamento nel breve e/o nel lungo termine – le risorse economiche da destinare al pagamento del fisco (in tal senso: Cass. Pen., Sez. III, 2614/2014; Cass. Pen., Sez. III, n. 23796/2019; ancora più recentemente, Cass. Pen. Sez. III, n. 28031/2023).

In tutti questi casi, la giurisprudenza è maggiormente orientata nel ritenere che l’omesso versamento per sopravvenuta crisi di liquidità, anche se imprevedibile e non imputabile al debitore, non sia sufficiente ad escludere l’elemento psicologico del dolo generico che sorregge le fattispecie di omesso versamento dei tributi.

  1. Casi giurisprudenziali: quando l’impossibilità di adempiere per causa non imputabile al debitore assume rilievo esimente?

Come detto, sono minoritari i casi in cui la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto rilevanza esimente alle ipotesi di impossibilità di provvedere al pagamento del tributo per causa non imputabile al contribuente; peraltro, con specifico riferimento al concetto di “impossibilità, la giurisprudenza ha richiesto la compresenza di plurimi requisiti, non ritenendo sufficiente la mera impossibilità di attingere alle risorse aziendali.

In alcuni casi, fra le iniziative necessarie per provvedere alla corresponsione del tributo, la giurisprudenza di legittimità ha ricompreso anche il tentativo di rinvenire e utilizzare risorse personali dell’imprenditore: per andare esente dalla sanzione penale, grava sull’imputato l’onere di allegazione circa “la non imputabilità della crisi economica della società e […] la dimostrazione che non sia stato possibile reperire le risorse necessarie all’adempimento delle obbligazioni tributarie pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli al proprio patrimonio personale” (Cass. Pen., Sez. III, n. 41602/2019).

In generale, dall’analisi delle pronunce sul punto, le uniche sentenze che hanno conferito valenza esimente all’omesso pagamento per “crisi di liquidità”, hanno fatto perno sull’insussistenza dell’elemento soggettivo del dolo generico richiesto dalla fattispecie di reato.

In altri termini, ha trovato parziale accoglimento la tesi secondo cui, nelle ipotesi di omesso versamento IVA dovuto a condizioni di “crisi di liquidità”, possa non ritenersi integrata – in presenza di stringenti requisiti – la fattispecie incriminatrice in parola difettando l’elemento soggettivo del dolo generico.

Laddove l’imprenditore abbia omesso il versamento IVA, dando prelazione al soddisfacimento di altri creditori (dipendenti e fornitori) nell’ottica di preservare la continuità aziendale e disponendo iniziative idonee a fronteggiare la crisi finanziaria in atto (anche facendo ricorso a beni personali), sono stati ritenuti “non esigibile la condotta antidoverosa omessa e […] insussistente l’elemento soggettivo del reato”, posto che “la scelta dell’imputato era avvenuta in una prospettiva di continuità aziendale […] con la conseguente insussistenza della rappresentazione da parte dell’imputato della mancanza delle risorse necessarie per assolvere a tale adempimento alla scadenza” (Cass. Pen., Sez. III, n. 42522/2019).

Come alcuni avevano evidenziato, una simile interpretazione è avvalorata ancor più a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza che – abbandonando le logiche proprie della previgente Legge Fallimentare – individua come obiettivo primario quello di preservare la continuità d’impresa dinanzi a eventi che comportano carenze di liquidità per far fronte alle obbligazioni assunte (fra cui anche quelle tributarie).

  1. La legge delega: la valorizzazione delle ipotesi di “sopravvenuta impossibilità di far fronte al pagamento del tributo, non dipendente da fatti imputabili al soggetto stesso

Nell’ambito della riforma fiscale in atto, la L. 111/2023 ha previsto che, nel progetto di revisione delle sanzioni penali relative alle fattispecie di reato in materia tributaria, il legislatore delegato debba “attribuire specifico rilievo all’ipotesi di sopravvenuta impossibilità di far fronte al pagamento del tributo, non dipendente da fatti imputabili al soggetto stesso”.

L’operazione alla quale è chiamato il Governo non è agevole sotto vari punti di vista.

In primo luogo, l’impostazione definita dal legislatore delegante non sembra far propendere per una soluzione che valorizzi l’omesso versamento per causa non imputabile al contribuente nelle forme dello “stato di necessità” (art. 54 c.p.) o del “contrasto di doveri” (art. 51 c.p.), ipotesi sostenute da parte della dottrina ma mai accolte dalla giurisprudenza.

Nondimeno, sono varie le possibili declinazioni della natura giuridica dell’istituto in forza del quale “attribuire specifico rilievo all’ipotesi di sopravvenuta impossibilità di adempiere all’obbligazione tributaria. Si potrebbe, infatti, optare sia per la previsione di una specifica circostanza attenuante che, come tale, inciderebbe unicamente sul quantum della pena; diversamente, l’istituto potrebbe rappresentare una causa di esclusione della punibilità.

A ben vedere, dovrebbe essere questa la soluzione maggiormente conforme agli orientamenti giurisprudenziali che, seppur minoritari, si sono formati al riguardo; inoltre, la natura giuridica propria della causa di esclusione della punibilità sembrerebbe meglio rispecchiare l’effettiva connotazione del fatto materiale valorizzato: l’evento, infatti, rappresenta una condizione al verificarsi della quale il fatto storico, seppur integrando tutti gli elementi tipici della fattispecie di reato, non risulta essere meritevole di sanzione.

Altro elemento non agevole sarà rappresentato dalla definizione delle circostanze al ricorrere delle quali l’inadempimento potrà essere considerato come dovuto a cause non imputabili al contribuente.

In assenza di un parametro generale che possa assurgere quale “massimo comun denominatore” delle fattispecie che potrebbero verificarsi, è ragionevole ritenere che possa parlarsi di “causa non imputabile al debitore” laddove, nel lasso di tempo fra la realizzazione del presupposto scaturente l’obbligazione tributaria e la maturazione del termine per la configurazione del reato, si siano verificati eventi economici del tutto imprevedibili, non dipendenti da condotte (colpose o dolose) dell’imprenditore, che abbiano inciso sulla vita economica dell’impresa in modo tale da rendere materialmente impossibile l’adempimento del tributo.

Da ultimo, potrebbe essere questa l’occasione per armonizzare i presidi penal-tributari con i principi ispiratori del nuovo Codice della Crisi d’Impresa: in quest’ottica, potrebbero essere maturi i tempi per attribuire rilievo, in termini penalistici, alle condizioni in cui il mancato adempimento delle obbligazioni tributarie – per causa non imputabile al contribuente – avvenga in circostanze in cui ciò si renda essenziale per la prosecuzione della continuità dell’attività d’impresa (ad esempio, nel caso del prioritario pagamento dei dipendenti o di alcuni creditori, finalizzato ad evitare l’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale).

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