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Indagini interne dell’ente e termine per presentare la querela

In tema di indagini interne all’ente, ai fini della decorrenza del termine per proporre la querela, occorre che la parte offesa abbia avuto conoscenza precisa, certa e diretta del fatto delittuoso, sia sotto il profilo oggettivo sia soggettivo, in maniera da possedere tutti gli elementi di valutazione per determinarsi, non essendo sufficiente il sospetto ovvero la mera conoscenza da parte dell’ente.

Con la sentenza n. 10934 del 15 marzo 2024 la II sez. della Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di indagini interne poste in essere dall’ente nei confronti di un dipendente, affrontando il tema del termine per proporre la querela.

La vicenda traeva origine dalla sentenza della Corte di Appello di Roma che, confermando la decisione di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di un’imputata per intervenuta prescrizione del reato (appropriazione indebita).

Nonostante ciò, la difesa proponeva ricorso per Cassazione lamentando, in particolare, la violazione di legge in relazione all’art. 124 c.p.

Stando alla tesi difensiva, il diritto di querela decorrerebbe dal momento in cui la persona offesa ha avuto conoscenza certa del fatto di reato e non dall’ultimo episodio della serie in continuazione. Pertanto, la possibilità di presentare querela dovrebbe decorrere dal momento di consumazione di ogni singolo episodio commesso in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.

Nei primi due gradi di giudizio era stata travisata la prova dalla quale emergeva la data individuata come dies a quo per il computo del termine per la proposizione della querela. In realtà, infatti, la conoscenza effettiva dell’ente (persona offesa) era precedente e coincideva con il momento in cui l’imputata era stata incaricata di eseguire delle investigazioni interne.

La notizia criminis era già disponibile nell’intranet aziendale anche se non era stato ancora individuato l’autore della condotta. L’art. 124 c.p. inoltre, non richiede la conoscenza dell’autore del reato per la proposizione della querela.

La Suprema Corte, dichiarando inammissibile il ricorso, ha chiarito a partire da quale momento decorre il termine previsto per la presentazione della querela nei confronti del dipendente da parte della società.

Ai fini della decorrenza del termine perentorio della querela, occorre che l’offeso abbia avuto conoscenza precisa, certa e diretta del fatto delittuoso, in maniera da possedere tutti gli elementi di valutazione.

La “notizia del fatto che costituisce reato”, prevista all’art. 124 c.p. va intesa come la conoscenza certa del fatto: solo con l’identificazione dell’autore del reato e con la comprensione dei termini oggettivi dello stesso, la persona offesa potrà esercitare il diritto di querela.

Infatti, una volta terminate le eventuali investigazioni interne, qualora venga accertata la fondatezza dei fatti illeciti segnalati o emersi, può essere necessario pianificare e adottare eventuali misure correttive, provvedimenti disciplinari o sporgere denuncia-querela innanzi all’Autorità Giudiziaria.

Alla luce di tali principi, la Corte ha definito manifestamente infondata la linea difensiva basata sulla tardiva contestazione dell’attività di indagini interne e sulla anteriore conoscibilità (nell’intranet aziendale) della vicenda.

Ai fini del deposito dell’eventuale denuncia-querela, il termine non decorre dal momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del fatto oggettivo del reato, né da quello in cui sulla base di semplici sospetti, indirizzi le indagini verso una determinata persona, ma dall’esito di tali indagini.

L’esigenza di svolgere indagini interne può nascere dalla conoscenza di indagini da parte di Autorità, da ispezioni di vigilanza, rilievi dell’internal audit o dell’Organismo di Vigilanza.

Si tratta di un efficace strumento a disposizione delle imprese per la prevenzione e gestione dei rischi, volta a verificare, anche col supporto di consulenti legali esterni, il rispetto della propria struttura organizzativa, l’insorgenza di potenziali illeciti, l’analisi di documentazione ed interviste ai dipendenti.

Il nostro ordinamento non prevede una disciplina organica e generale delle indagini interne – neppure il Decreto Whistleblowing è riuscito a colmare tale lacuna normativa – fatta eccezione per il caso specifico delle c.d. investigazioni difensive che vengono svolte dall’ avvocato difensore (391bis ss. c.p.p.).
L’attività investigativa si può articolare in diverse fasi:

  1. la fase pre-investigativa, una preliminare valutazione circa la serietà e credibilità delle accuse, la determinazione dell’ambito dell’indagine e del relativo piano di azione;
  2. la fase investigativa vera e propria comprende le attività finalizzate a mettere in atto per raccogliere la documentazione e le informazioni necessarie, anche tramite lo svolgimento di interviste, nel pieno rispetto della privacy di tutti i soggetti coinvolti e mantenendo riservata tutta la documentazione acquisita;
  3. la fase post-investigativa riguarda la verbalizzazione delle attività svolte e la proposizione di adeguate misure correttive da implementare sulla base dei risultati dell’indagine, per ridurre al minimo l’impatto delle violazioni e migliorare i controlli interni, ponendo rimedio alle violazioni che avevano dato origine all’indagine stessa.
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