INDUZIONE A NON RENDERE DICHIARAZIONI O A RENDERE DICHIARAZIONI MENACI ALL’AUTORITA’ GIUDIZIARIA
– Profili normativi, trattamento sanzionatorio e linee guida per la redazione del Modello Organizzativo.
Introduzione
L’art. 4 della legge 116/2009 (“ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Organizzazione delle nazioni unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU nel 2003”) ha introdotto tra le fattispecie penalmente rilevanti ai fini della sussistenza della responsabilità degli enti ai sensi del d.lgs. 231/2001, il reato di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria,
In particolare, con tale ratifica legislativa, si è esteso l’ambito penale dell’art. 322 bis c.p., si è imposta l’applicabilità del delitto di cui all’art. 377 bis c.p. agli enti, oltre alla designazione dell’autorità nazionale anticorruzione e dell’Autorità centrale di riferimento.
L’introduzione di tale norma ha ampliato il novero delle fattispecie che possono determinare in presenza di criteri di imputazione oggettivi e soggettivi la responsabilità amministrativa da reato dell’ente. Tuttavia, non si tratta di una novità, in quanto, prima della Novella, in caso di commissione del delitto in esame, era comunque prevista la responsabilità amministrativa dell’ente, per tutti i casi connotati da transnazionalità.
L’art. 25 nonies richiama come reato presupposto la sola fattispecie previste dall’art. 377 bis c.p. (“Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria”). Si tratta di un delitto contro l’amministrazione della giustizia: il bene che la norma mira a tutelare si può riscontrare nel corretto svolgimento dell’attività processuale, contro tutte le forme di interferenze. Inoltre, in questo modo, si tutela la spontaneità del comportamento processuale e la genuinità delle dichiarazioni rese.
La fattispecie configura un reato d’evento e richiede che alla condotta di induzione consegua effettivamente una dichiarazione mendace all’autorità giudiziaria oppure di silenzio. Si differenzia dall’art. 377 c.p. che punisce un reato di pericolo che si perfeziona con la semplice offerta o promessa di denaro o altra utilità al destinatario.
L’ente risponderebbe del reato qui analizzato allorquando non avesse previsto tale fattispecie nel Modello organizzativo ovvero qualora non avesse fatto rispettare i protocolli previsti. Nel caso in cui l’ente si sia dotato degli specifici Modelli organizzativi e si sia efficacemente attivato per farli rispettare non potrà essere chiamato a rispondere del reato.
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Trattamento sanzionatorio
In relazione al reato richiamati dall’art. 25 decies, si applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a 500 quote.
Non è prevista l’irrogazione di alcuna sanzione interdittiva nei confronti dell’ente e, dunque, non potrà essere pubblicata la sentenza di condanna. Il legislatore ha ritenuto opportuno sanzionare l’ente solo sotto un profilo patrimoniale, piuttosto che dal punto di vista reputazionale.
Non sono numerosi gli elementi rilevanti ai fini della costruzione e costituzione di un modello organizzativo, in relazione alle aree a rischio reato, protocolli di controllo e ruolo dell’organismo di vigilanza.
La concreta commissione del reato nell’ambito di una struttura organizzativa di un ente non risulta essere realistica: infatti, la condotta ben potrebbe tradursi nella pressione esercitata da un superiore gerarchico nei confronti di un dipendente chiamato a rendere testimonianza in un processo, per far apparire situazioni diverse dalla realtà o per nascondere possibili connivenze, a vantaggio o nell’interesse dell’ente.
Tali pressioni o condizionamenti potrebbero anche essere esercitate nei confronti di un consulente, un fornitore o un cliente.
Le aree di rischio in cui potenzialmente potrebbe essere commesso tale reato potrebbero essere la gestione dei rapporti con l’autorità giudiziaria, la gestione del contenzioso giudiziale o le dichiarazioni nell’ambito di un procedimento giudiziario. I principali attori si identificano nell’amministratore delegato e nel responsabile legale dell’ente.
Con riferimento all’attività dell’Organismo di vigilanza, dovranno essere previsti flussi informativi completi, costanti ed esaustivi tra l’amministratore delegato, il responsabile legale e l’Odv.
Inoltre, i controlli dovranno essere diretti a verificare la conformità delle attività aziendali ai principi espressi nel modello organizzativo.