Dopo essere stata approvata dalla Commissione Giustizia, il 29 maggio scorso la Camera dei Deputati ha approvato la Proposta di legge n. 1276, presentata il 4 luglio 2023, avente ad oggetto la riforma dell’art. 2407 c.c. in tema di responsabilità del collegio sindacale e dei suoi membri.
La proposta di legge, ora all’esame del Senato, ha come scopo quello di riformare il sistema di responsabilità dei membri del collegio sindacale per i danni conseguenti all’omessa vigilanza sull’operato dell’organo gestorio della società.
Ormai da tempo è avvertita l’esigenza di intervenire su un sistema di responsabilità che equipara la responsabilità “diretta” degli amministratori, per i danni derivanti dagli atti od omissioni realizzati, a quella dei sindaci, che emerge nei casi in cui il danno per il fatto dell’amministratore sia dipeso (anche) dall’omessa vigilanza dell’organo di controllo sociale.
L’attuale formulazione dell’art. 2407 c.c. prevede una duplice tipologia di responsabilità dei sindaci.
Il primo comma, infatti, prevede una forma di responsabilità “diretta” per la violazione del dovere di agire con un grado di professionalità e diligenza proporzionato alla natura dell’incarico; inoltre, prevede che i sindaci siano responsabili per la veridicità delle proprie attestazioni e per i casi di violazione del segreto professionale.
Il secondo comma, invece, prevede una responsabilità “indiretta” per i danni, derivanti da atti od omissioni degli amministratori, che non si sarebbero verificati qualora i sindaci avessero vigilato in conformità ai doveri della propria carica.
Per la dimostrazione della responsabilità concorrente dei sindaci, la più recente giurisprudenza richiede che venga positivamente dimostrata la sussistenza di un nesso di causalità fra l’omessa vigilanza dei sindaci e la realizzazione del danno dipendente dalle condotte (attive od omissive) degli amministratori.
In altri termini, la responsabilità dei membri del collegio sindacale non può ritenersi sussistente, secondo una sorta di automatismo, per il solo fatto che essi non abbiano intercettato condotte od omissioni degli amministratori che abbiano cagionato un danno. Diversamente, la condotta omissiva dei membri del collegio sindacale rileva solamente ove essa sia “causa o concausa” del danno stesso, ossia quando la diligente attivazione dei sindaci avrebbe impedito la causazione del danno o ne avrebbe attenuato le conseguenze (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 26 febbraio 2024, n. 5060).
Per converso, l’obbligo di vigilanza dei sindaci non si esaurisce nel dovere di denuncia di atti od omissioni degli amministratori nella relazione al bilancio di cui all’art. 2429 c.c. ma richiede, invero, che essi attivino – anche prima di tale momento – i propri poteri di denuncia e/o sollecitazione (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 5 settembre 2018, n. 21662; Cass. Civ., Sez. I, 13 giugno 2014, n. 13518).
Proprio il complessivo rigore del regime di responsabilità concorsuale dei sindaci ha guidato lo spirito della presente riforma.
Questa, infatti, muove da un assunto di base secondo cui – non essendo i membri del collegio sindacale dotati di poteri immediatamente impeditivi dell’evento dannoso – non sono equiparabili i livelli di responsabilità degli amministratori (che cagionano direttamente un danno con una propria condotta attiva od omissiva) e dei sindaci (che, invece, non concorrono attivamente alla causazione del danno ma omettono di vigilare sulla regolarità dell’attività gestoria).
Come evidenziato nella proposta di legge in commento, le più recenti pronunce giurisprudenziali hanno concorso a creare una sorta di responsabilità (di fatto) oggettiva dei sindaci per omessa vigilanza, resa ancor più evidente in tutte quelle ipotesi in cui la loro responsabilità, per omessa attivazione dei doveri di vigilanza, era riconosciuta anche laddove gli amministratori avessero agito in modo tale da eludere i controlli del collegio sindacale.
Alla luce di queste considerazioni, la proposta di legge mira ad introdurre un regime di responsabilità dei sindaci parzialmente differente da quello vigente.
Fermo restando il regime di responsabilità previsto al comma 1 dell’art. 2047 c.c. – ossia quello derivante dalla violazione del dovere di agire con diligenza e professionalità, da falsità nelle attestazioni presenti nelle relazioni del collegio sindacale o dalla violazione del segreto professionale – il nuovo comma 2 dell’art. 2407 c.c. dispone che:
“Al di fuori delle ipotesi in cui hanno agito con dolo, anche nei casi in cui la revisione legale è esercitata da collegio sindacale a norma dell’articolo 2409-bis, secondo comma, i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l’incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito, secondo i seguenti scaglioni: per i compensi fino a 10.000 euro, quindici volte il compenso; per i compensi da 10.000 a 50.000 euro, dodici volte il compenso; per i compensi maggiori di 50.000 euro, dieci volte il compenso.
In primo luogo, il nuovo regime di responsabilità introduce una distinzione tra i casi in cui il danno discenda da una violazione dolosa dei doveri propri del collegio sindacale, da quelli in cui la violazione dei medesimi doveri sia dovuta a colpa.
In questo secondo caso, l’ammontare del risarcimento del danno – nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi – è quantificato in base a precisi scaglioni consistenti in un multiplo del compenso percepito dal sindaco per l’esercizio delle proprie funzioni.
Precisamente, il risarcimento del danno dovuto sarà così calcolato:
- in caso di compensi annui inferiori a 10.000 euro, quindici volte il compenso;
- in caso di compensi annui compresi fra 10.000 euro e 50.000 euro, dodici volte il compenso;
- in caso di compensi annui superiori a 50.000 euro, dieci volte il compenso.
Effettuando una lettura comparata con la versione attualmente in vigore, il nuovo regime di responsabilità presenta due novità fondamentali.
In primo luogo, salvo i casi in cui i sindaci abbiano agito dolosamente, la loro responsabilità non si sostanzia più nell’aver agevolato, in ragione dell’omessa vigilanza, la produzione del danno derivante da condotte (attive od omissive) degli amministratori; diversamente, il nuovo regime di responsabilità ha, come fondamento, la mera violazione dei doveri discendenti dalla funzione esercitata da cui discenda (causalmente) un danno, senza la necessaria agevolazione delle condotte degli amministratori.
Eliminando qualsiasi nesso con la condotta dannosa degli amministratori, il disegno di riforma intende evitare quelle ipotesi – diffuse in giurisprudenza – in cui era riconosciuta la responsabilità dei sindaci anche laddove essi non fossero, in concreto, titolari di poteri impeditivi dell’evento dannoso o in cui l’evento dannoso fosse frutto di condotte degli amministratori realizzate eludendo i controlli del collegio sindacale.
In secondo luogo, il risarcimento del danno al quale sono esposti i sindaci varia a seconda che essi abbiano agito – in violazione dei propri doveri – con dolo o con colpa. Solo nel secondo caso, infatti, trova applicazione il meccanismo di quantificazione del danno parametrato all’ammontare dei compensi percepiti per l’esercizio della carica.
Il dettato normativo non offre esplicite indicazioni, invece, per i casi in cui la violazione dei doveri – da cui discenda il danno – sia di natura dolosa: da una lettura comparata con la versione vigente, è logico ritenere che – laddove i sindaci abbiano dolosamente violato i propri doveri di vigilanza – costoro continueranno ad essere solidalmente responsabili con gli amministratori, avendo sostanzialmente agito in “concorso” (mutuando un concetto di natura penalistica) con questi ultimi, e non troverà applicazione il meccanismo di calcolo del risarcimento parametrato ad un multiplo del compenso percepito.
Ultima novità del progetto di riforma è la modifica del dies a quo per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei sindaci.
Tale azione, ai sensi dell’art. 2949 c.c., si prescrive nel termine di cinque anni: dibattuto, tuttavia, è il relativo dies a quo, il quale è suscettibile di differenziarsi a seconda del soggetto che agisce (società, soci, creditori sociali o terzi) nei confronti dei sindaci.
Secondo la formulazione attualmente in vigore, stante il richiamo agli artt. 2393 c.c. e seguenti, il regime di responsabilità dei sindaci segue – per quanto compatibile – quello previsto per la responsabilità degli amministratori. In relazione agli amministratori, l’art. 2393 c.c. dispone che l’azione di responsabilità, esercitata dalla società, si prescrive nel termine di cinque anni decorrenti dalla cessazione dell’amministratore dalla propria carica. Questo è, secondo la giurisprudenza maggioritaria, anche il termine per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei sindaci.
Il progetto di riforma dispone, invece, che l’azione di responsabilità nei confronti di questi ultimi si prescrive nel termine di cinque anni decorrenti, però, dal “deposito della relazione di cui all’art. 2429 c.c., relativa all’esercizio in cui si è verificato il danno”, ossia della relazione che descrive i risultati dell’esercizio sociale, l’attività svolta dal collegio sindacale nell’adempimento dei propri doveri e che contiene le proposte e le osservazioni sul bilancio redatto dall’organo amministrativo.
È evidente che il diverso dies a quo, oltre a voler risolvere i dubbi interpretativi sulla sua esatta individuazione, è altrettanto finalizzato a contenere l’orizzonte temporale della responsabilità dei sindaci.