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La società è responsabile per i dipendenti distaccati all’estero

La commissione di un reato da parte di personale distaccato all’estero può condurre alla responsabilità amministrativa della società ai sensi del d.lgs. 231/2001.

Una recente analisi di Assonime è giunta a questa conclusione, chiarendo le condizioni di imputabilità delle imprese e i maggiori rischi per i vertici aziendali, considerando opportuno rinforzare la mappatura dei rischi e aggiornare il Modello organizzativo.

Si tratta di un tema molto importante ed attuale, oggetto di grande attenzione da parte di diverse società multinazionali operative in diversi paesi.

Stando ad Assonime, il frequente ricorso all’istituto del distacco di personale nelle imprese multinazionali e nei grandi gruppi societari, pone la questione di quali siano gli effetti di eventuali condotte illecite poste in essere dal dipendente distaccato nel contesto lavorativo in cui è chiamato a svolgere la propria prestazione. In particolare, ci si chiede se, e a quali condizioni, la commissione all’estero di un reato previsto dal d.lgs. 231/2001 da parte del lavoratore distaccato possa far sorgere la responsabilità amministrativa della società.

Il caso Assonime

Al personale distaccato all’estero, nell’ambito di imprese multinazionali o gruppi societari con sedi ramificate nel mondo può essere addebitato un reato a titolo di responsabilità amministrativa dell’ente. Debbono essere richiesti costantemente adeguati flussi informativi ed appositi presidi formalizzati nel modello organizzativo per il monitoraggio dei rischi e la prevenzione dei reati.

Il personale distaccato non perde il legame con il datore di lavoro originario, conservando la qualifica di dipendente della società distaccante e quindi rientra nella categoria di soggetti che, ai sensi dell’art. 5 d.lgs 231/2001, possono far sorgere la responsabilità amministrativa dell’ente per fatti di reato, anche quando commessi all’estero.

Chiaramente devono sussistere i presupposti per l’attribuzione della responsabilità.

Per prima cosa si deve essere verificato un reato tassativamente incluso nel catalogo 231, che dev’essere stato posto in essere da “soggetti apicali” (persone che rivestono funzioni di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia funzionale, nonché da persone che esercitano anche di fatto la gestione e il controllo dello stesso), o da “soggetti sottoposti” (persone sottoposte alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti su indicati). Il fatto, inoltre, deve essere stato commesso nell’interesse o vantaggio dell’ente.

Le ipotesi

Si debbono distinguere due ipotesi: quella per cui il dipendente distaccato abbia commesso il reato integralmente all’estero e quella in cui una parte della condotta possa ritenersi integrata in Italia.

  1. Nel primo caso viene in soccorso il dato normativo dell’art. 4 d.lgs. 231/2001, secondo cui per i reati commessi all’estero devono ricorrere le seguenti condizioni:
  • che sia formulata la richiesta del Ministro della Giustizia, ove sia necessaria per procedere nei confronti della persona fisica;
  • nei confronti dell’ente non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto.
  • che ci si trovi nei casi che consentono di attivare la giurisdizione italiana;
  • che l’ente abbia nel territorio dello stato la sua sede principale.
  1. Nel secondo caso, invece, quando il reato è commesso all’estero, ma parte dell’organizzazione criminosa si è concretizzata in Italia, il reato si considera a tutti gli effetti commesso in Italia, con la conseguenza che si applicano i normali criteri di radicamento della giurisdizione.

Come deve muoversi la società?

Per prima cosa occorre individuare i presidi e le misure organizzative utili a prevenire e gestire il rischio della commissione di reati commessi da dipendenti distaccati all’estero, soprattutto quando questi siano chiamati a lavorare in una società che non può seguire i processi e le procedure poste in essere dalla società distaccante in ragione delle peculiarità normative e sociali del Paese.

La società deve adottare un Codice Etico vincolante per tutte le società del gruppo: tale adempimento rappresenta un imprescindibile strumento di governance per garantire uniformità nei principi di condotta, a prescindere dal luogo in cui il personale svolga la propria prestazione lavorativa, nonché un necessario completamento del Modello organizzativo.

Va assicurata l’interazione e la comunicazione tra le società, attraverso la predisposizione di adeguati flussi informativi e la mappatura dei rischi, che tenga conto delle diverse legislazioni applicabili

La società dovrebbe poi implementare nel proprio modello organizzativo specifiche procedure per il lavoratore distaccato all’estero. Nello svolgimento del risk assesment, per superare le difficoltà derivanti dal confronto con legislazioni diverse, la società potrebbe sollecitare le controllate ad adottare programmi di compliance idonei a adeguarsi alle diverse normative e a prevenire rischi di reato. Sul piano della formazione, infine, la società dovrebbe garantire ai lavoratori distaccati una formazione ad hoc sugli specifici rischi e sulle procedure che sono chiamati ad osservare all’estero.

Una recente pronuncia della Corte di cassazione

La recente sentenza della V sez. penale della Corte di Cassazione 02/08/2024, n. 31665/2024, ha affermato che “se vi è corretta organizzazione aziendale in materia antinfortunistica e i vertici sollecitano l’adozione di specifiche condotte, la mancata diligenza di chi è tenuto ad adottarle esclude la responsabilità dell’ente”.

La Cassazione si confrontava con un caso di reato avvenuto all’estero, addebitato alla società a titolo di responsabilità amministrativa ai sensi del d.lgs. 231/2001 e correttamente fronteggiato grazie all’adozione del Modello 231.

La Corte d’appello di Roma, confermando la decisione del GUP, condannava una s.p.a. in relazione all’illecito previsto e punito dall’art. 25 septies d.lgs. 231/2001. Ai vertici della società, si contestava il fatto che non sarebbero state prese le dovute cautele necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori, che avrebbero dovuto effettuare il trasferimento all’estero: i quattro tecnici, dipendenti della società, a seguito di questa operazione, vennero rapiti ed uccisi.

Avverso tale decisione ricorreva per Cassazione la società, deducendo che non sarebbe stato considerato il fatto che la società avesse adottato una serie di protocolli idonei a prevenire l’evento verificatosi in concreto e, dunque, l’addebito sarebbe da ricondurre esclusivamente al delegato alla sicurezza il quale, per negligenza, non aveva seguito le direttive societarie.

Per la Suprema Corte non sussiste la responsabilità della società in quanto, avendo adottato un modello organizzativo, ha operato in un contesto di generale corretto adempimento degli obblighi antinfortunistici: il comportamento colposo e imprevedibile del delegato alla sicurezza dei lavoratori all’estero ha determinato il tragico evento. Inoltre, non è emerso un apprezzabile vantaggio patrimoniale, ossia uno strutturale risparmio di spesa derivante dal mancato adeguamento alle direttive antinfortunistiche dettate dalla società.

L’ente, dunque, non deve rispondere per il reato commesso dal suo dipendente, che di fatto ha generato solo un occasionale ed esiguo vantaggio patrimoniale.

Nel caso concreto la società ha potuto constatare concretamente come l’adozione del Modello 231, contestualmente ad una virtuosa organizzazione aziendale, abbia portato ad escludere la responsabilità dei vertici del Cda per l’infortunio dovuto all’imprevedibile negligenza del delegato alla sicurezza.

La Cassazione ha concluso annullando con rinvio la sentenza impugnata in quanto l’illecito amministrativo non sussiste: la società non può rispondere ai sensi del d.lgs. 231/2001, del comportamento del proprio dipendente, avendo adottato un modello organizzativo che, con una valutazione ex ante necessariamente correlata anche al costante rispetto fino a quel momento delle prescrizioni impartite dal suo Cda, si era dimostrato idoneo a prevenire il reato contestato.

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