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Sequestro preventivo per la società che ricicla denaro sporco

La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 35362 del 2024 è stata chiamata a pronunciarsi sul tema del profitto che giustifichi il sequestro preventivo applicato nei confronti di una società ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. n. 231/2001.

Nel caso in questione la società era stata destinataria dell’ordinanza applicativa del sequestro preventivo di somme di denaro, di cui una parte in relazione all’illecito amministrativo di cui all’art. 25-octies D.Lgs. 231/2001, contestato alla società con riguardo ad alcune condotte di riciclaggio poste in essere dall’amministratrice unica e legale rappresentante della stessa.

A seguito di conferma della suddetta ordinanza, limitatamente a tale profilo, da parte del Tribunale del Riesame, proponeva ricorso la società.

Tra le altre doglianze, la ricorrente deduceva la violazione di legge con riferimento alla natura e consistenza del profitto che costituiva oggetto del sequestro finalizzato alla confisca ritenendo che l’impiego delle somme ricevute dalla società attraverso il socio unico beneficiario dei bonifici a lei diretti, in quanto destinate a soddisfare pretese fiscali, con contestuale assunzione dell’obbligo di restituire le stesse ai soggetti erogatori, non potrebbero integrare alcun vantaggio patrimoniale, trattandosi di operazione che ha comportato l’assunzione del debito nei confronti del socio finanziatore.

I giudici di legittimità, tuttavia, non hanno ritenuto di poter accogliere un tale assunto precisando come le somme illegalmente conseguite tramite le condotte criminose poste in essere dall’amministratrice hanno costituito un vantaggio per l’ente che ha accresciuto, così, il proprio patrimonio riuscendo, in tal modo, ad adempiere ad alcune obbligazioni tributarie.

Difatti, in assenza di una tale disponibilità finanziaria, non sarebbe stato possibile per la società far fronte alle suddette obbligazioni, esponendosi, così, a numerose fonti di rischi esecutivi o ad una possibile liquidazione giudiziale.

Gli Ermellini, dichiarando l’inammissibilità del presentato ricorso, hanno dunque affermato che per valutare l’esistenza del profitto che giustificherà il sequestro si dovrà avere riguardo al momento del reimpiego delle somme conseguite, che permette all’ente di conseguire un sicuro incremento patrimoniale, senza la possibilità di dedurre a fondamento dell’esclusione di un tale profitto la specifica destinazione di questo.

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