Provare la colpa di organizzazione è un obbligo che grava sull’accusa, non sulla difesa della società imputata nel procedimento ai sensi del d.lgs. 231/2001, che deve fornire elementi utili per dimostrare l’adozione e l’efficace attuazione del Modello organizzativo.
Il Tribunale di Biella, in una recente ordinanza, ha ritenuto nullo il decreto di citazione a giudizio a carico dell’ente per genericità ed indeterminatezza del capo di imputazione.
La decisione traeva origine dalla doglianza difensiva per cui il capo di imputazione non riportava il profilo di colpa di organizzazione addebitabile alla società, con ciò omettendo di indicare un elemento che attiene alla tipicità dell’illecito amministrativo dell’ente.
Il Tribunale piemontese ha chiarito che l’imputazione a carico dell’ente non deve limitarsi al richiamo del solo reato presupposto e all’individuazione dei profili di interesse e vantaggio teleologicamente connessi alla commissione del reato stesso, dovendo invece specificare anche i profili di “colpa di organizzazione” che, nel caso concreto, hanno agevolato la realizzazione del fatto criminoso.
Il Giudice ha osservato correttamente che non merita accoglimento l’obiezione del Pubblico Ministero, il quale aveva sostenuto che non sia onere dell’accusa provare o indicare la colpa di organizzazione, gravando sulla difesa provare l’adozione e l’efficace attuazione del modello di organizzazione, prevedendo la norma una sorta di inversione dell’onere della prova.
Il Tribunale Biellese ha richiamato l’orientamento della Corte di Cassazione sul punto, secondo cui “il requisito dell’enunciazione del fatto può ritenersi carente, in quanto in concreto possa affermarsi che l’imputato non abbia potuto conoscere i tratti essenziali della fattispecie di reato attribuitagli dall’accusa, sì da non potersene adeguatamente difendere” (Cass. Pen. Sez. I, n. 3828/1992).
Dunque, non sussiste alcuna incertezza sull’imputazione solo nel caso in cui il fatto sia contestato nei suoi elementi strutturali e sostanziali in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa, non essendo necessaria un’indicazione assolutamente dettagliata dell’imputazione stessa.
Infatti, specifica l’ordinanza, l’eventuale omessa adozione del Modello organizzativo è, stando alla legge, una circostanza utile a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione: tuttavia, non è questa che deve essere provata dall’ufficio del Pubblico Ministero.
In altre parole, la mancata adozione del modello organizzativo o la sua mancata efficace attuazione non è elemento del fatto tipico, ma solo un elemento di prova della colpa di organizzazione, che è il vero elemento costitutivo della fattispecie.
L’accusa stando all’ordinanza dovrebbe quanto meno indicare, sia pure in maniera non dettagliata, quale profilo di colpa viene addebitato all’ente.
Questo significa, in sintesi, che l’accusa, nel contestare l’illecito amministrativo dipendente da reato, quale che siano quelli che vengono in rilievo, deve per prima cosa confrontarsi con l’elemento oggettivo della fattispecie: l’illecito commesso dagli apicali di una società e contestato a quest’ultima, deve essere la concretizzazione di una politica d’impresa negligente ed approssimativa. La società risponde dell’illecito quando l’accusa ha raccolto, nel corso delle indagini, degli elementi strutturali ed univoci tali da sostenere l’addebito alla società a titolo di “colpa di organizzazione”.
Tali elementi, chiaramente, debbono essere dimostrati dall’organo accusatorio e non dalla difesa dell’ente, come erroneamente sostenuto dal Pubblico Ministero.
Il contenuto dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Biella appare, ad una prima lettura, scontato ed irrilevante. In realtà, letto sotto un’altra luce, fa comprendere il livello di conoscenza del d.lgs 231/2001 – quantomeno sotto un profilo processuale – da parte delle Procure italiane, le quali sembrano ancora non aver colto le differenze e le similitudini fra il processo a carico delle persone fisiche e quello a carico dell’ente.
Con questa ordinanza si fa un significativo passo avanti verso la divulgazione e la conoscibilità delle regole previste dal decreto 231.