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Il pagamento dell’IVA non esclude il reato tributario

L’effettivo pagamento dell’IVA non costituisce un elemento decisivo tale da escludere la rilevanza indiziaria dei fatti evidenziati dal GIP a sostegno del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ex art. 2 del D.lgs. 74/2000.

Questo principio di diritto è stato affermato dalla III Sezione della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 2390/2025, nell’ambito di un procedimento penale a carico dell’amministratrice di fatto e del rappresentante legale di una società, accusati del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, nonché del correlato illecito amministrativo a carico della società ai sensi dell’art. 25-quinquiesdecies, lett. a) e d), del D.lgs. 231/2001.

La vicenda trae origine da un’indagine su una presunta frode fiscale in cui una società avrebbe interposto fraudolentemente un’altra società al fine di mascherare un’attività di somministrazione di manodopera vietata (in violazione del D.lgs. n. 276/2003). Tale meccanismo avrebbe determinato una duplicazione fittizia del soggetto passivo d’imposta, simulando appalti inesistenti e consentendo alla società beneficiaria di detrarre indebitamente l’IVA.

Il GIP del Tribunale di Treviso aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca delle disponibilità finanziarie della società fino all’importo corrispondente all’IVA evasa o, in alternativa, dei beni mobili e immobili nella disponibilità degli indagati per un valore equivalente a detto profitto. Tuttavia, il Tribunale del Riesame aveva successivamente revocato il provvedimento, ritenendo che le prestazioni fatturate fossero reali, valorizzando in particolare il fatto che l’IVA era stata effettivamente dichiarata e versata dalle società coinvolte.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, denunciando, tra i vari motivi, la violazione di legge per motivazione apparente. In particolare, il Tribunale del Riesame avrebbe escluso la sussistenza del fumus boni iuris basandosi esclusivamente sulle deduzioni difensive, senza valutare i numerosi elementi probatori di segno contrario forniti dall’accusa, che indicavano la natura fittizia delle prestazioni.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, sottolineando alcuni principi fondamentali in materia di sequestro preventivo:

    • In sede di sequestro preventivo, non è necessario accertare in via definitiva l’esistenza del reato, ma è sufficiente la presenza di gravi indizi di reato. Pertanto, l’esistenza di una possibile spiegazione alternativa del fatto indiziante non è, di per sé, sufficiente a escludere la sussistenza dell’indizio stesso. Solo qualora la configurabilità del reato risulti manifestamente impossibile, il giudice del riesame è tenuto a revocare la misura cautelare. Nel caso in esame, la Suprema Corte ha censurato l’operato del Tribunale del Riesame, rilevando che quest’ultimo, pur riconoscendo le deduzioni difensive che escludevano, a livello indiziario, la sussistenza del reato, non aveva adeguatamente considerato gli elementi probatori — sia dichiarativi che documentali — indicati dal GIP a supporto della tesi accusatoria. Inoltre, il Tribunale non aveva chiarito in che modo le produzioni difensive potessero escludere radicalmente la sussistenza di indizi di reato, quantomeno secondo i criteri richiesti in sede cautelare.
    • Il Tribunale del Riesame aveva attribuito erroneamente valore decisivo al pagamento dell’IVA, senza considerare che tale circostanza non esclude automaticamente la configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta. Il pagamento dell’IVA, infatti, attiene più alla valutazione del dolo specifico di evasione, che può essere escluso in sede cautelare solo se la sua assenza emerga in modo evidente e immediato (ictu oculi).
    • Non era stato adeguatamente valutato il complesso degli elementi indiziari, tra cui le dichiarazioni dei lavoratori, la documentazione contabile e la corrispondenza, che confermavano la natura fittizia delle prestazioni fatturate.

La Cassazione ha quindi annullato l’ordinanza del Tribunale del Riesame e rinviato la causa per un nuovo esame, sottolineando l’importanza di una valutazione completa e coerente degli elementi indiziari in materia di sequestro preventivo e confisca del profitto illecito derivante da reati fiscali.

In particolare, la Corte ha ribadito che il pagamento dell’IVA, pur potendo essere un elemento rilevante, non esclude di per sé la configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta, che deve essere valutato nel contesto dell’intero quadro indiziario e dei rapporti tra la società emittente e quella utilizzatrice delle fatture.

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