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I reati tributari nel sistema 231

Con la sentenza n. 16302/22, la Corte di Cassazione si è pronunciata per la prima volta sull’applicabilità dei reati tributari nei confronti delle società ai sensi del d.lgs. 231/2001, addebitando il reato presupposto di cui all’art. 25-quinquesdecies ai soggetti apicali della società incolpata di aver beneficiato di un’evasione Iva che ammontava a circa 10 milioni e mezzo di euro, riferiti a due annualità. Con questa prima sentenza, dunque, i giudici ponevano il principio per cui la società avrebbe dovuto rispondere per il reato di evasione fiscale in quanto persona giuridica.

E’ opportuno esaminare l’evoluzione del quadro normativo riferito ai reati presupposto contemplati dal decreto 231. Per prima cosa, va ricordato che il diritto penale tributario trova fondamento nel d.lgs. 74/2000, nel tempo più volte revisionato. Un fondamentale intervento, avvenne con il D.L. n. 124/2019, il quale inserì la confisca per sproporzione e, all’interno del catalogo dei reati presupposto, l’art. 25-quinquesdecies. Un intervento di questo tipo era da tempo auspicato da parte dell’unione Europea, la quale, a seguito della direttiva PIF del 2017, per contrastare le figure delittuose pregiudizievoli per gli interessi finanziari dell’unione, aveva imposto a tutti gli Stati membro di procedere in tal senso.

Nello specifico, tale norma, veniva formulata secondo la tipica tecnica del rinvio, richiamando i reati contenuti all’interno del d.lgs. 74/2000. Fra questi si possono rinvenire:
– il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 comma 1 e 2bis);
– la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3);
– l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8 comma 1 e 2-bis);
– l’occultamento o distruzione di documenti contabili (art.10);
– la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11).

Inoltre, la più recente modifica legislativa del 2020, ha inserito delle nuove figure al reato presupposto, ossia:
– la dichiarazione infedele (art. 4);
– l’omessa dichiarazione (art. 5);
– l’indebita compensazione (art. 10-quater).

Il legislatore ha voluto appositamente inserite nel “sistema 231” i soli reati tributari connotati da un effettivo elemento di ingannevolezza o decettività. Tuttavia, delle criticità emergevano con riferimento alla diversità di trattamento fra persona fisica ed ente, nel rispetto del principio del ne bis in idem. Per quanto riguardava la coerenza delle diverse scelte di incriminazione, occorreva sottolineare la differenza fra la persona fisica e l’ente: se nel primo caso la sanzione penale aveva carattere premiale e riscossivo, nel secondo caso, sussisteva la punibilità anche in caso di estinzione del reato. Questo ovviamente potrebbe creare a non pochi problemi, nonché alla violazione del principio posto a livello europeo del divieto di punibilità di un medesimo soggetto per un medesimo fatto.

Un cenno conclusivo va fatto con riferimento all’adozione ed efficace attuazione del modello organizzativo da predisporre, al fine evitare il verificarsi di reati tributari richiamati all’art. 25-quinquesdecies. E’ opportuno adottare una serie di previsioni o accorgimenti tali da considerare il rischio fiscale interno, seguendo lo schema della cd. Tax control framework, che consiste nella rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio di operare in violazione di norme tributarie, individuando le attività a rischio, in cui appaia possibile il verificarsi del reato e stabilendo delle procedura interne di controllo della documentazione interna alla società.

 

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