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Correlazione tra accusa e sentenza in tema di interesse o vantaggio dell’ente

Con sentenza n. 21704 del 22 maggio 2023, la quarta sezione penale della Corte di cassazione è intervenuta in tema di principio di correlazione tra accusa e sentenza con riferimento all’interesse o vantaggio dell’ente, nonché sul criterio di accertamento della responsabilità del soggetto collettivo.

La difesa dell’ente aveva dedotto una violazione di legge, con riferimento al principio di correlazione tra accusa e sentenza e vizio della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza di un interesse o vantaggio dell’ente, in materia di infortuni sul lavoro.

Il deducente rilevava che la Corte territoriale avrebbe ritenuto la responsabilità amministrativa dell’ente sulla scorta di una violazione non contestata agli imputati, vale a dire l’omessa formazione di una squadra di emergenza, neppure suffragata da elementi fattuali, non essendovi traccia di tale omissione ed essendosi contestato al datore di lavoro solo di non aver previsto l’immediato abbandono del sito.

Con riguardo al secondo profilo, la difesa rilevava che non tutte le violazioni delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro sono riconducibili allo scopo di assicurare un vantaggio economico all’impresa, ben potendo un infortunio verificarsi per cause non direttamente riconducibili ad una logica di abbattimento dei costi per la sicurezza.

Altra doglianza ha riguardato una mancata valutazione in concreto del modello di organizzazione adottato dall’ente, sull’assunto per cui la Corte d’Appello avrebbe concluso per la certa inidoneità del modello stante la dimostrazione del reato e dell’interesse o vantaggio dell’ente.

La Corte ha dichiarato manifestamente infondati i motivi, affermando che in tema di infortuni sul lavoro, il principio informatore della materia è quello per cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all’interno dell’area di rischio, nella quale si colloca l’obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore. Punto cruciale dell’accertamento istruttorio è rappresentato dall’esistenza di una prassi, in difetto di una specifica procedura predisposta dal datore di lavoro.

Per quanto concerno l’invocata violazione del principio consacrato nell’art. 521 c.p.p., la Corte ha precisato che, ai fini della sussistenza, non è sufficiente qualsiasi modificazione dell’accusa originaria, ma è necessaria una modifica che pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato.

Ne consegue che la violazione dell’art. 521 c.p.p. non sussiste quando nel capo di imputazione siano contenuti gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi contorni (Cass. Pen. Sez V N. 7984 del 24/09/2012).

Nel caso de quo la procedura lavorativa descritta in sentenza (mancata previsione di una squadra di intervento in un luogo confinato nel quale vi era la presenza di una sostanza venefica) era stata accertata nel corso dell’istruttoria e valutata dal C.T. del pubblico ministero, elementi esaminati nel contraddittorio e rispetto ai quali l’ente ha avuto la possibilità concreta di articolare le difese.

Quanto alla dedotta mancanza di prova dell’effettivo ed apprezzabile vantaggio a favore dell’ente, la Corte ha ritenuto sufficiente e completo il percorso motivazionale dei giudici territoriali, poiché hanno ricollegato il vantaggio dell’ente direttamente alla possibilità di impiegare un solo lavoratore per lo svolgimento, in orario notturno, di una lavorazione che una squadra di operai, debitamente formata e attrezzata, avrebbe potuto svolgere in sicurezza.

Per quanto concerne, invece, l’invocata mancanza di una valutazione in concreto del modello organizzativo dell’azienda, la Corte ha fatto una premessa che merita di essere ripercorsa.

La responsabilità da reato degli enti rappresenta un modello che, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, ha finito per configurare un tertium genus, compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza ed i criteri d’imputazione oggettiva di essa.

Inoltre il legislatore ha previsto specifici criteri di imputazione di tale responsabilità, l’interesse o il vantaggio di cui al D.Lgs. n. 231/del 2001, art. 5, che sono alternativi e concorrenti, in quanto il primo esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, il secondo ha connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dall’illecito.

Proprio nel caso di responsabilità degli enti ritenuta in relazione a reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, la Suprema Corte ha precisato che la “colpa di organizzazione” deve intendersi in senso normativo ed è fondata sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individui i rischi e delinei le misure adatte a contrastarli.

Peraltro, ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, non sono ex se sufficienti la mancanza o l’inidoneità degli specifici modelli di organizzazione o la loro inefficace attuazione, essendo necessaria la dimostrazione della “colpa di organizzazione”, che caratterizza la tipicità dell’illecito amministrativo ed è distinta da quella degli autori del reato.

La struttura dell’illecito addebitato all’ente è incentrata sul reato presupposto, rispetto al quale la relazione funzionale tra reo ed ente e quella teleologica tra reato ed ente hanno funzione di rafforzare il rapporto di immedesimazione organica, escludendo che possa essere attribuito all’ente un reato commesso sì da soggetto incardinato nell’organizzazione, ma per fini estranei agli scopi di questa.

L’ente risponde, dunque, per un fatto proprio e per scongiurare addebiti di responsabilità oggettiva deve essere concretamente verificata la “colpa di organizzazione”. Solo il riscontro di una tale lacuna organizzativa può dimostrare l’esistenza dell’illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa dell’ente e l’avere essa agito nell’interesse del secondo.

Trattasi, dunque, di una interpretazione che attribuisce al requisito della “colpa di organizzazione” dell’ente la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, ossia di elemento costitutivo del fatto tipico, integrato dalla violazione “colpevole” della regola cautelare.

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