Cerca
Close this search box.

La procedura di archiviazione nel processo nei confronti degli enti

Gli artt. 34 e 35 del d.lgs. 231/2001 dettano le disposizioni circa la disciplina processuale relativa alla responsabilità amministrativa degli enti, ricalcando i dettami del codice di procedura penale.

In particolare, in tema di archiviazione del procedimento, l’art. 58 del decreto 231 prevede che il pubblico ministero, qualora non proceda alla contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’art. 59, emetta decreto motivato di archiviazione degli atti, comunicandolo al procuratore generale presso la Corte d’appello.

Quest’ultimo potrà poi scegliere di svolgere gli accertamenti indispensabili e, se riterrà che ne ricorrono le condizioni, contesterà all’ente le violazioni amministrative conseguenti al relativo reato, nel termine di sei mesi dalla comunicazione.

Per ciò che concerne, invece, le condizioni giustificative dell’emissione di un decreto di archiviazione, queste sono le medesime previste dall’art. 408 c.p.p. per le persone fisiche. L’attività del procuratore generale, pertanto, rappresenta l’unica ravvisabile forma di controllo sulla condotta del pubblico ministero.

Difatti, l’art. 58 fa venir meno la facoltà del danneggiato di proporre opposizione così come l’ipotesi di rigetto della richiesta di archiviazione da parte del GIP, previste nell’ambito del procedimento avverso le persone fisiche dagli artt. 409 e 410 c.p.p.

Pertanto, l’eventuale riapertura delle indagini non dovrà seguire i dettami dell’art. 414 c.p.p., ma il PM avrà la possibilità di procedere ad una nuova annotazione a carico dell’ente per il medesimo illecito, senza la necessità di un’autorizzazione da parte del giudice.

Di converso, troveranno applicazione gli obblighi di cui all’art. 335 c.p.p. e, pertanto, il PM sarà tenuto a procedere immediatamente all’iscrizione della notitia criminis a lui pervenuta relativamente alla persona giuridica.

Si è posto, tuttavia, il caso limite in cui il PM, a seguito di un mero errore, invece di procedere all’emissione del decreto di archiviazione del procedimento a carico dell’ente, presenti una richiesta archiviativa al Giudice per le indagini preliminari.

  • Il caso “Impregilo” e la Sent. Cass. Pen. n. 23401/2022

Tale questione si è posta anche nell’ambito del celebre caso Impregilo e sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza della Sesta Sezione Penale n. 23401 del 2022.

Nel caso di specie, la contestazione elevata alla società Impregilo riguardava l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-ter, lett. r) d.lgs. 231 del 2001, dipendente dal delitto di aggiotaggio, compiuto nel proprio interesse e a proprio vantaggio dal presidente del Consiglio di amministrazione e dall’amministratore delegato mediante comunicazione ai mercati di false notizie sulle previsioni di bilancio e sulla solvibilità della società controllata “Imprepar s.p.a.”, posta in liquidazione.

Sulla vicenda si pronunciava la Corte di Appello di Milano, all’esito del giudizio di rinvio, confermando la decisione assolutoria del primo giudice, statuendo come fosse di conseguenza ultroneo soffermarsi sulla questione dell’avvenuta archiviazione del procedimento nei confronti della società, sebbene la richiesta in tal senso, erroneamente avanzata dal PM al GIP, dovesse intendersi come chiara volontà archiviativa.

Avverso tale pronuncia di assoluzione, propone ricorso la Procura generale e, tra le doglianze, fa presente, in merito alla richiesta di archiviazione che, questa, sebbene irrituale, aveva rappresentato la necessaria conseguenza della ritenuta insussistenza del reato presupposto. Essa, pertanto, era stata superata dall’opposto divisamento del GIP e dall’ordine di imputazione coatta da questi formulato, non potendo, tale richiesta, essere equiparata al decreto di archiviazione ex art. 58 D.lgs. 231/2001.

Nell’ambito di tale ricorso, la difesa Impregilo solleva nuovamente la questione preliminare circa la già avvenuta archiviazione del procedimento, deducendo che:

  • L’ordine di formulare l’imputazione è stato correttamente emesso dal GIP soltanto nei confronti delle persone fisiche per il delitto di aggiotaggio e non anche nei confronti dell’ente per il connesso illecito amministrativo;
  • Vi è assoluta incompatibilità tra la richiesta di archiviazione ed il successivo esercizio dell’azione penale sulla base dei medesimi elementi, in quanto, tale ultima iniziativa si rileverebbe come irrituale, se non abnorme.

I giudici di legittimità, chiamati a pronunciarsi in via pregiudiziale su tale aspetto, ribadiscono che i presupposti di fatto dai quale muove l’azione penale sono indiscussi. Difatti, la contestazione dell’illecito all’ente è avvenuta soltanto a seguito dell’ordine di imputazione coatta emesso dal GIP, limitato ai reati presupposto ascrivibili alle persone fisiche, senza che nessun elemento di novità sia stato acquisito successivamente all’avanzata richiesta di archiviazione.

Ebbene, gli Ermellini non ritengono che la tesi della difesa possa ritenersi fondata, in quanto, è sì vero che il citato art. 58 attribuisce allo stesso pubblico ministero il potere di emettere decreto motivato di archiviazione là dove ritenga che non vi siano i presupposti per l’esercizio dell’azione penale senza la necessità di inoltrare una richiesta al GIP, tuttavia, qualora, come nel caso de quo, questa richiesta venga erroneamente presentata al GIP e questi, correttamente, non provveda sulla stessa, non è possibile assegnare a quell’atto del PM, in via di mero fatto, un significato e una funzione differenti da quelli attribuitigli dall’autorità che lo ha emesso.

Ciò non solo poiché gli atti officiosi del rito penale non prevedono comportamenti concludenti ad effetto surrogatorio, ma anche perché la disciplina dell’inazione del PM in questa materia prevede comunque che anche il decreto di archiviazione sia sottoposto ad un meccanismo di controllo affidato però al Procuratore generale presso la Corte d’Appello ai sensi dell’art. 58 d.lgs. 231/2001.

Alla luce di quanto affermato, alla richiesta di archiviazione erroneamente inviata dal PM al GIP non potrà attribuirsi alcuna valenza di “archiviazione di fatto”, in assenza della relativa comunicazione al procuratore generale e della conseguente verifica a cui quest’ultimo deve provvedere. A ciò ostando tanto la lettera quanto la ratio del complessivo sottosistema predisposto dal decreto 231, il quale non impedisce la riapertura delle indagini e un successivo esercizio dell’azione penale.

Pertanto, alcun ostacolo alla formulazione della contestazione nei confronti dell’ente sarebbe potuto derivare dalla richiesta di archiviazione avanzata dalla medesima autorità inquirente, anche volendo attribuire a tale atto una diversa natura.

La Suprema Corte, dunque, con tale sentenza ha enunciato il principio di diritto per cui:

“in tema di responsabilità da reato degli enti, ove il pubblico ministero, anziché emettere decreto motivato di archiviazione e darne comunicazione al procuratore generale della corte di appello per le verifiche allo stesso demandate, ai sensi dell’art. 58, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, erroneamente trasmetta richiesta di archiviazione al giudice per le indagini preliminari, non può attribuirsi a tale richiesta un valore equipollente a quello del decreto con effetto preclusivo dell’ulteriore svolgimento delle indagini e dell’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti della persona giuridica”.

Potrebbe interessarti