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Bancarotta derivante da autoriciclaggio: profili di responsabilità degli enti

È configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, in quanto norme incriminatrici che non regolano la “stessa materia”. Al contempo, il delitto di autoriciclaggio deve ritenersi configurabile nell’ipotesi di distrazioni fallimentari compiute prima della dichiarazione di fallimento.

Queste le conclusioni della II Sezione della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 1810/2025 in materia di bancarotta fraudolenta e violazioni finanziarie.

Con ordinanza del 03.05.2024 il Tribunale di Reggio Calabria, decidendo su un’istanza di riesame, ha confermato il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta di un’ingente somma di denaro eseguito nei confronti di una società, oltre che nei confronti dello stesso ricorrente, nonché il sequestro per equivalente nei limiti dell’importo sopra indicato e il sequestro, con finalità impeditive, e nel contempo funzionale alla confisca, della società stessa.

Il Giudice per le indagini preliminari aveva infatti ravvisato, nei confronti del ricorrente il fumus dei reati di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 del D.lgs. 74 del 2000), autoriciclaggio (648-ter.l cod. pen.), bancarotta fraudolenta per distrazione (223 e 216, comma 1, n. 1, RD 267 del 1942), nonché, per ciò che riguarda l’ente, dell’illecito amministrativo dipendente da reato di cui all’art. 25-octies del D.lgs. 231 del 2001.

In particolare, secondo l’accusa, l’imputato avrebbe creato una nuova società di comodo per distrarre fondi e proseguire l’attività economica, eludendo i debiti della società originaria.

Avverso il provvedimento del Tribunale del Riesame ricorreva il difensore dell’imputato, deducendo, fra i tanti motivi, la violazione e falsa applicazione dell’art. 81 cod. pen. in tema di concorso formale di reati, in relazione al rapporto tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione e l’insussistenza delle fattispecie di autoriciclaggio, sia per l’antecedenza della condotta rispetto alla consumazione del delitto “presupposto” (ossia la bancarotta), sia alla luce dell’intervenuto di annullamento della verifica fiscale della GdF con sentenza della Commissione Tributaria.

Nonostante tali censure, la Corte di cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile.

Relativamente al primo motivo, la Corte ha ritenuto infondato l’argomento della difesa, alla luce del prevalente orientamento della giurisprudenza, per cui è senz’altro configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, atteso che le relative norme incriminatrici non regolano la “stessa materia” (art. 15 cod. pen.), ma differiscono sia per il bene giuridico tutelato (interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, da un lato, ed interesse della massa dei creditori al soddisfacimento dei propri diritti, dall’altro), che per natura delle fattispecie astratte (di pericolo quella fiscale, di danno quella fallimentare) ed elemento soggettivo (dolo specifico quanto alla prima, generico quanto alla seconda).

È vero infatti che la fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte in alcuni casi integra una condotta che può ben inserirsi in una complessiva strategia distrattiva, che se finalizzata al fallimento, ovvero posta in essere in vista di esso, o da questo seguita, non assume connotazione autonoma ma è riconducibile al paradigma punitivo dell’art. 216 l. fall., consentendo l’applicazione del principio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen., (in virtù del quale è integrato il solo reato di bancarotta fraudolenta ed escluso il concorso tra i due delitti in relazione allo stesso fatto); nel caso di specie tuttavia il Collegio ha ritenuto di condividere il primo e più recente orientamento laddove ha in primo luogo spiegato che le norme incriminatrici in questione danno luogo ad un’ipotesi di c.d. “specialità bilaterale” e che, soprattutto, non regolano affatto la “stessa materia”, poiché mentre quella fiscale è preposta a sanzionare condotte che pregiudichino l’interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, quella fallimentare tutela invece l’interesse del ceto creditorio di massa al soddisfacimento dei propri singoli diritti.

È stata inoltre evidenziata la diversità delle due fattispecie anche sotto il profilo della potenziale platea dei soggetti attivi, più ristretta in quello di bancarotta fraudolenta (l’imprenditore dichiarato fallito ovvero per estensione soggettiva normativa gli organi amministrativi delle imprese societarie ed Enti assimilati), e più ampia in quello fiscale, astrattamente riferibile ad ogni contribuente, ancorché non imprenditore o assimilato.

Di qui, ed in conclusione, proprio alla luce di queste considerazioni, la Suprema Corte ha ritenuto che nel caso di specie non possa ravvisarsi un’ipotesi di concorso apparente di norme, bensì quella diversa del concorso formale di reati ovvero della continuazione tra distinti illeciti penali di cui all’art. 81, primo e secondo comma, cod. pen.

Anche l’ulteriore motivo concernente l’insussistenza del delitto di autoriciclaggio è stato dichiarato manifestamente infondato dalla Corte.

Sul punto, la Corte si è limitata a ribadire che, secondo costante giurisprudenza, il reato di bancarotta per distrazione concorre con quello di autoriciclaggio non solo nel caso in cui alla condotta distrattiva di somme di denaro faccia seguito un’autonoma attività dissimulatoria di reimpiego in attività economiche e finanziarie di tali somme, ma anche nell’ipotesi di distrazioni fallimentari compiute prima della dichiarazione di fallimento, in tutti i casi in cui tali distrazioni siano qualificabili come appropriazione indebita, ai sensi dell’art. 646 cod. pen., divenendo l’appropriazione un elemento costitutivo della bancarotta, quando la società, a danno della quale l’agente ha realizzato la condotta appropriativa (che diviene distrattiva), venga dichiarata fallita all’esito della progressione criminosa.

Quanto all’astratta configurabilità del delitto di autoriciclaggio, la Corte ha ritenuto irrilevante che l’avviso di accertamento scaturito dalla verifica fiscale fosse stato annullato, in quanto ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 11 del D.lg. 10 marzo 2000, n. 74, che punisce colui che, per sottrarsi alle imposte, aliena simulatamente o compie atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, non è necessaria la fondatezza della pretesa erariale e ciò alla luce della pacifica la natura del reato in esame come reato di pericolo concreto, su cui la giurisprudenza è ormai consolidata.

I restanti motivi sono allo stesso modo dichiarati infondati in quanto concernenti valutazioni di merito che esulano il giudizio di legittimità e in quanto carenti di interesse ad impugnare.

Sulla base di tali considerazioni, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

La sentenza in commento risulta di particolare interesse, in quanto si inserisce nel solco della giurisprudenza consolidata in materia di reati fallimentari e tributari secondo cui le operazioni volte a sottrarre risorse al Fisco possono concorrere con la bancarotta fraudolenta per distrazione, scoraggiando in questo modo strategie elusive che mirano a neutralizzare le pretese creditorie e fiscali attraverso schermi societari.

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