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Cancellazione dell’ente e assoluzione della società

La cancellazione dell’ente dal registro delle imprese genera gli stessi effetti della morte del reo, determinando l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal D.lgs. n. 231 del 2001.

Questo è il principio di diritto stabilito dalla VI sezione della Suprema Corte di cassazione con la sentenza n. 25648/2024.

Nel caso in esame, il Tribunale di Milano aveva condannato una società per l’illecito amministrativo ex art. 25, comma 3, D.lgs. n. 231/2001, in relazione al reato di corruzione. La Corte d’Appello di Milano, riformando la sentenza di primo grado, aveva dichiarato il “non doversi procedere” nei confronti della società, ritenendo che l’illecito fosse estinto a causa della cessazione dell’ente e della sua cancellazione dal registro delle imprese, equiparando tale circostanza alla morte dell’imputato prevista dall’art. 150 c.p.

Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Milano presentava ricorso, evidenziando, tra le altre argomentazioni, come tale impostazione entrasse in contrasto con il principio della tassatività delle cause di estinzione del reato, generando altresì un’evidente disparità di trattamento rispetto ai casi di fallimento della società, per i quali, come noto, non è prevista l’estinzione dell’illecito.

La Corte di cassazione, chiamata a confrontarsi con la delicata questione dell’equiparazione tra la cancellazione di una società e la morte dell’imputato, ha evidenziato come, con la Riforma delle società di capitali e cooperative introdotta dal D.lgs. n. 6/2003, la cancellazione dal registro delle imprese abbia ormai acquisito un valore costitutivo, ai sensi dell’art. 2495, comma 2, c.c.

Secondo il Collegio, proprio questa norma confermerebbe che la cancellazione dell’ente comporta sempre il venir meno della persona giuridica, attivando gli stessi effetti giuridici associati alla morte dell’imputato, inclusa l’estinzione del reato, come previsto dall’art. 35 del D.lgs. n. 231/2001.

Di contro, le obiezioni sollevate dalla Procura Generale non sono state ritenute fondate dalla Cassazione: da un lato, la sopravvivenza della società cancellata ai soli fini penali porterebbe all’applicazione di sanzioni inutili, essendo rivolte a un soggetto inesistente dal punto di vista civilistico; dall’altro, finirebbe per gravare, in sede esecutiva, su soggetti terzi rispetto all’ente responsabile della violazione, persino con il pericolo della duplicazione di sanzioni a carico di questi.

Non convincente anche l’equiparazione della cancellazione al fallimento, in quanto, come chiarito dagli Ermellini, detta procedura non esclude un eventuale ritorno in bonis della società e comunque non determina l’estinzione della società, neanche quando diviene definitiva, in quanto rimane sempre subordinata alla effettiva cancellazione dal registro delle imprese.

Infine, la Corte ha chiarito come l’art. 2495 c.c. preveda un meccanismo di portata generale, applicabile indistintamente sia nei casi di cancellazioni “fisiologiche” sia in quelli di cancellazioni “fraudolente”. Infatti, anche quando la cancellazione è volta a eludere le sanzioni per illeciti commessi nell’interesse o a vantaggio della società, l’assenza di sanzioni pecuniarie è comunque compensata dall’eliminazione definitiva dell’ente dall’ordinamento giuridico, raggiungendo in modo ancor più efficace gli obiettivi di prevenzione speciale previsti dal d.lgs. 231/2001.

Peraltro, con questa precisazione, la Corte di cassazione si è parzialmente discostata anche dall’orientamento seguito dalla Corte di Appello di Milano nella sentenza impugnata, che limitava l’estinzione dell’illecito ai soli casi di cancellazione “fisiologica”.

In virtù di tali considerazioni, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, confermando l’estinzione dell’illecito amministrativo.

Quest’ultimo arresto della giurisprudenza di legittimità si pone dunque in netto contrasto con l’impostazione seguita negli ultimi anni dalla giurisprudenza maggioritaria, che, facendo leva sul principio di tassatività delle cause di estinzione del reato, escludeva in modo granitico che la cancellazione dal registro potesse equivalere a una vera e propria “morte del reo”, impedendo così che cancellazioni “di comodo” potessero vanificare la risposta punitiva dello Stato (cfr., in particolare, la recente sentenza n. 37655/2023 della II Sezione della Corte di Cassazione).

Alla luce di questo contrasto, un intervento chiarificatore da parte delle Sezioni Unite appare ormai imprescindibile.

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