Il Datore di lavoro può essere chiamato a rispondere per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro non solo per l’impiego dei lavoratori ma anche per la condotta di reclutamento, prevista al comma 1, n. 1 dell’art. 603-bis c.p.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 37223 del 10 ottobre 2024, relativa ad un sequestro preventivo di somme di denaro nei confronti di un imprenditore.
L’interessante vicenda traeva origine dall’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame di Livorno confermava il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti di un imprenditore ritenuto gravemente indiziato per il reato di caporalato (art. 603-bis c.p.), per aver impiegato presso la propria azienda diciotto lavoratori extracomunitari, sottoponendoli a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno.
Avverso l’ordinanza veniva proposto ricorso per cassazione, con il quale si deduceva la violazione di legge sia con riferimento alla competenza del Tribunale presso il quale si sarebbe dovuto radicare il processo (stando al ricorrente, il foro di Grosseto, luogo nel quale erano avvenute le assunzioni) sia con riferimento alla contestazione mossa nei confronti dell’indagato. In particolare, il ricorrente affermava che l’unico comportamento addebitabile al datore fosse lo sfruttamento di manodopera, di cui al comma 1, n. 2, art. 603-bis c.p. e non anche il più grave reato di caporalato. La competenza, infatti, non si sarebbe dovuta determinare in relazione agli addebiti provvisoriamente elevati ad altri indagati in assenza di connessione fra le diverse incolpazioni.
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile.
L’indagato, nel ricorso, sosteneva di non dover rispondere delle condotta di reclutamento, l’unica in grado di radicare la competenza, poiché la condotta rilevante aveva avuto luogo presso il centro di accoglienza di Piombino (LI).
In realtà, stando al ragionamento della Suprema Corte, l’imprenditore era risultato indiziato di entrambe le condotte. Oltre ad aver impiegato nella propria azienda diciotto lavoratori di provenienza estera, in condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno, aveva infatti partecipato attivamente anche al reperimento della manodopera, avviato con il cd. “caporale” presso il Centro di accoglienza.
Per tale ragione egli deve rispondere di entrambe le condotte. L’art. 603-bis c.p. stabilisce due distinte figure criminose, quella di intermediazione illecita e quella di sfruttamento della manodopera (cd. caporalato).
La norma, infatti, punisce con la reclusione da uno a sei anni (e con la multa da 500 a 1.000 euro) per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:
1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Inoltre, qualora i fatti fossero commessi mediante violenza o minaccia, la pena è aggravata e può arrivare sino ad otto anni di reclusione oltre a circa 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
La norma, inoltre, stabilisce i cosiddetti “indici di sfruttamento”, a seconda che sussistano delle condizioni previste dalla stessa norma, quali:
1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;
3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.
L’art. 603-bis c.p. è previsto anche nel catalogo dei reati presupposto per i quali può rispondere l’ente ai sensi del d.lgs. 231/2001 all’art. 25-quinquies (“delitti contro la personalità individuale”).
In relazione a questa fattispecie di reato, la società deve essersi dotata di un modello organizzativo tale da monitorare le procedure legate alla formazione del personale interno, dei lavoratori, dei servizi appaltati a terzi, di assunzione del personale che devono assicurare le medesime tracciabilità e trasparenza nella gestione con la società.