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La Cassazione torna ad esprimersi sull’inammissibilità della costituzione della parte civile

La Corte di Cassazione torna ad occuparsi dell’annosa vicenda legata all’ammissibilità o meno della parte civile nei confronti dell’ente imputato ex d.lgs. 231/2001 con una sentenza che, a differenza di altri pronunciamenti, ha il pregio di offrire maggiori argomentazioni rispetto alla questione in parola.

Vale la pena, dunque, segnalare la sentenza della IV Sez. Pen. n. 30175/2023 e qui sintetizzarne i tratti salienti.

Il caso preso in esame dalla Corte prende le mosse da un incidente mortale sul luogo di lavoro di un operaio che, nell’intento di installare dei pannelli fotovoltaici, precipitava rovinosamente a terra dal tetto di un capannone; caduta da cui ne derivava il decesso. Il fatto veniva poi contestato all’amministratore della ditta datrice di lavoro, ai sensi dell’art. 589 c.p., e alla stessa ditta, ai sensi degli artt. 5, lett. a), e 25 septies, d.lgs. n. 231/2001.

Più in particolare, per la parte che qui interessa, le parti civili proponevano ricorso avverso la decisione della Corte di Appello di Caltanissetta che, a parer loro, risultava carente, contraddittoria e illogica in ordine alla ritenuta mancanza del cosiddetto vantaggio dell’ente e per la ritenuta assenza di prova della c.d. colpa di organizzazione. A fronte di tale motivo di gravame, tuttavia, il giudice di legittimità lo riteneva inammissibile per mancanza di interesse.

Spiegano infatti i giudici della IV Sezione come non sia agevole comprendere quali effetti favorevoli le parti civili ricorrenti avrebbero potuto ottenere dall’annullamento del provvedimento impugnato, attesa l’inammissibilità della parte civile nei confronti dell’ente per “l’assenza di ogni riferimento espresso alla parte civile nel d.lgs. n. 231 del 2001 sia frutto di una scelta consapevole del legislatore, che ha dunque operato intenzionalmente una deroga rispetto alla regolamentazione codicistica (Sez. 6, n. 2251 del 05/10/2010, dep.2011, Fenu, Rv. 248791 – 01)“.

Come anticipato, la sentenza in esame non si limita a riprendere l’orientamento formatosi intorno al tema, ma si soffermata in altre considerazioni degne di nota.

In questa occasione gli Ermellini fanno notare che:

  • l’art. 27 del d.lgs. n. 231 del 2001, il quale stabilisce la  limitazione della responsabilità patrimoniale dell’ente all’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria, non fa alcuna menzione delle obbligazioni civili; 
  • l’art. 54 del medesimo testo normativo, derogando alle finalità del sequestro conservativo disciplinate dall’art. 316 c.p.p., limita tale forma di sequestro nei confronti dell’ente al solo scopo di assicurare il pagamento della sanzione pecuniaria, senza fare menzione delle obbligazioni civili derivanti dal reato;
  • gli artt. 12 e 17, che consentono all’ente di ottenere l’esclusione ovvero la riduzione delle sanzioni pecuniarie e interdittive in caso di avvenuto risarcimento dei danni patiti dalla vittima, nonché l’art. 19, che prevede la riduzione della confisca per la parte di profitto che può essere restituita al danneggiato, fanno riferimento al danno derivante dal reato e non a quello determinato dall’illecito amministrativo commesso dall’ente.

Secondo la Corte, dunque, aderendo all’orientamento già consolidatosi sul tema, non è possibile, anche sotto il profilo sostanziale, rintracciare conseguenze dannose diverse da quelle prodotte dal reato.

Da ultimo, sempre in merito alla predetta inammissibilità, l’impianto motivazionale viene arricchito da un precedente della Corte di Giustizia dell’Unione Europea Sez. 2, Giovanardi C-79/11 del 12 luglio 2012:

 “posto che in tale pronuncia la Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi su rinvio pregiudiziale del giudice italiano sul se le disposizioni del d.lgs. n. 231 del 2001 relative alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, laddove non prevedono la possibilità che esse siano chiamate a rispondere, nell’ambito del processo penale, dei danni da esse cagionati alle vittime di un reato, siano compatibili con l’art. 9 della Decisione quadro 2001/220/GAI, ha asserito che, anche sposando la soluzione negativa in merito all’ammissibilità della costituzione di parte civile, il sistema normativo contenuto nel d.lgs. n. 231 non sarebbe comunque in contrasto con l’obbligo di cui all’art. 9 p. 1 della Decisione quadro, posto che per il rispetto di tale prescrizione è sufficiente che l’ordinamento nazionale consenta alla vittima di costituirsi parte civile contro la persona fisica autrice del reato”.

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