IMPIEGO DI CITTADINI DI PAESI TERZI IL CUI SOGGIORNO E’ IRREGOLARE
– Profili normativi, trattamento sanzionatorio e linee guida per la redazione del Modello Organizzativo.
Introduzione
L’art. 25 duodecies (impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare) è stato introdotto nel d.lgs. 231/2001 dall’art. 2 d.lgs. 16 luglio 2012, n. 109, attraverso il quale l’ordinamento ha recepito la Direttiva UE 2009/52 relativa all’introduzione di norme minime da adottare dai datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
Anni dopo, è stato inserito anche un riferimento al testo unico dell’immigrazione, richiamando il d.lgs. 17 ottobre 2017, n. 161, che ha inserito i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater, estendendo il novero di fattispecie richiamate dall’art. 25 duodecies.
Sono tre le fattispecie incriminatrici che assumono rilievo ai fini della responsabilità della persona giuridica. Facendo una valutazione complessiva appare evidente che la risposta sanzionatoria è variegata. L’impiego di lavoratori privi del permesso di soggiorno è equiparato sotto il profilo sanzionatorio al favoreggiamento della permanenza dello straniero all’interno del territorio dello Stato. Entrambe, infatti, sono punite con la sanzione pecuniaria da 100 a 200 quote.
Per quanto riguarda la fattispecie di impiego di lavoratori privi del permesso di soggiorno, il Legislatore ha compiuto la scelta di individuare una responsabilità anche in capo alla persona giuridica solamente nell’ipotesi aggravata di cui al comma 12 bis dell’art. 22 d.lgs. 286/1998. La forma non aggravata costituisce il parametro di riferimento per individuare il perimetro della condotta penalmente rilevante, ma resta nell’ottica dell’ente. Si tratta di un reato proprio del datore di lavoro ovverosia di colui il quale anche formalmente è titolare del rapporto di lavoro con il soggetto straniero non regolare.
La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che “la norma penale in esame punisce sia chi procede all’assunzione della manodopera in situazione di illegalità quanto alle condizioni di permanenza nel nostro Paese, sia chi tale manodopera comunque occupi alle sua dipendenze giovandosi dell’assunzione personalmente non effettuata, dovendosi attribuire rilievo all’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa assai più che al momento della costituzione” (Cass. pen. 19201/2012).
La norma in commento prevede altresì la responsabilità dell’ente il relazione all’ipotesi di favoreggiamento delle migrazioni illegali., in ragione degli elementi di specialità che ne giustificano la risposta sanzionatoria notevolmente più grave, atteso che il massimo edittale della fattispecie base diviene il minimo dell’escursione sanzionatoria della figura aggravata. Si passa, infatti, dalla reclusione da uno a cinque alla reclusione da cinque a quindici anni.
Il nucleo comune della fattispecie contempla due distinte fattispecie di reato: il favoreggiamento dell’ingresso illegale, che punisce chi “promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato” e il favoreggiamento dell’emigrazione illegale, che sanziona gli “atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente”.
La disposizione è funzionale alla punizione di tutte le condotte agevolatrici, consistenti in atti preparatori, tipizzandole in funzione della univoca finalizzazione all’ingresso illegale dello straniero in altro Stato. E’ qui che risiede il disvalore della condotta: in funzione di essa, il Legislatore individua la soglia di punibilità, con anticipazione della tutela rispetto al momento dell’attraversamento della frontiera. Si tratta, infine, di un reato a forma libera.
Da ultimo, con il reato di favoreggiamento della permanenza illegale, il Legislatore ha inteso tracciare una sorta di progressione criminosa rispetto all’ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, poiché destinato a sanzionare le condo9tte che fuoriescono dall’ambito di punibilità di questa seconda fattispecie. La norma impiega una formula di carattere generale consistente nella punizione di colui che “favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico“. Si tratta, anche in questo caso, di un reato a forma libera.
Una differenza rilevante risiede nel fatto che, mentre per il favoreggiamento dell’immigrazione sono sufficienti la coscienza e volontà di compiere attività dirette a trasgredire le norme del Testo unico dell’immigrazione, per l’integrazione del reato di favoreggiamento della permanenza, invece, è necessario il fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero, configurandosi così una tipica ipotesi di dolo specifico, che riduce l’ambito di operatività della disposizione.
In varie occasioni la Suprema Corte ha mostrato di voler compiere una interpretazione piuttosto rigida del quoziente psicologico dell’agente, ad esempio non ritenendo individuabile il reato de quo nel mero impiego dello straniero come manodopera in nero, richiedendo quale elemento ulteriore l’impostazione di condizioni gravose e discriminatorie (Cass. pen. 41090/2014).
In relazione al reato richiamati dall’art. 25 duodecies, si applicano all’ente diverse sanzioni, a seconda della categoria di reati.
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In relazione alla commissione del delitto di cui all’articolo 22, comma 12-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da 100 a 200 quote, entro il limite di 150.000 euro.
In relazione alla commissione dei delitti di cui all’articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote.
In relazione alla commissione dei delitti di cui all’articolo 12, comma 5, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da 100 a 200 quote.
Nei casi di condanna per i delitti di cui ai commi 1-bis e 1-ter del presente articolo, si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un anno.