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CATALOGO 231: RICICLAGGIO E RICETTAZIONE (ART. 25octies)

RICETTAZIONE, RICICLAGGIO E IMPIEGO DI DENARO, BENI O UTILITA’ DI PROVENIENZA ILLECITA, NONCHE’ AUTORICICLAGGIO

– Profili normativi, trattamento sanzionatorio e linee guida per la redazione del Modello Organizzativo.

Introduzione

L’art 25-octies è il risultato di una progressiva stratificazione normativa con la quale il legislatore ha voluto fornire maggior tutela, in ottica preventiva, al fenomeno del riciclaggio. L’introduzione di questo articolo è avvenuta con il d.lgs. 231/2007, in attuazione della direttiva 2005/60/CE in materia di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo.

In questo modo il legislatore ha creato un collegamento sistematico fra il d.lgs. 231/2007 e il d.lgs. 231/2001, nel senso che gli obblighi di prevenzione del fenomeno di riciclaggio potranno ispirare le regole di condotta da introdurre nei Modelli di organizzazione e gestione idonei ad eliminare o comunque ridurre il più possibile il rischio di commissione dei reati elencati all’articolo 25-octies.

  1. La struttura dei reati presupposto

I reati previsti dall’art. 25-octies hanno natura plurioffensiva, in quanto accanto al patrimonio viene in risalto, quale oggetto di tutela, il bene giuridico dell’amministrazione della giustizia, stante l’ostacolo all’accertamento del reato connaturato alle fattispecie in esame. La tutela dell’amministrazione della giustizia è particolarmente accentuata, poiché lo stesso ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa del bene costituisce modalità tipica della condotta.

Per quanto riguarda gli elementi costitutivi dei delitti in esame occorre fare riferimento ai reati presupposto da cui origina il provento. L’oggetto della condotta non è pienamente coincidente nelle fattispecie in esame. La ricettazione, ad esempio, richiede la ricezione o l’occultamento di denaro o cose; per gli altri delitti rileva il denaro o altre utilità. Nella ricettazione rileva l’acquisto o l’occultamento del provento; nel riciclaggio, lo sostituzione, il trasferimento o “altre operazioni dissimulatorie”.

La condotta di autoriciclaggio si distingue da tutte le altre per l’ovvia considerazione che l’autore della condotta di ripulitura debba coincidere con l’autore del reato presupposto. Inoltre, l’art. 648ter1 prevede una speciale causa di non punibilità nel caso in cui i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale: tale ipotesi è integrata soltanto nel caso in cui l’agente utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza compiere su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa (Cass. Pen., II sez. sent. n. 13795 del 29 marzo 2019).

I reati elencati all’art. 25-octies d.lgs. 231/2001 si distinguono fra di loro anche sotto il profilo soggettivo: tra il reato di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita e quello di riciclaggio, nonché fra questo e quello di riciclaggio vi è un rapporto di specialità che deriva dall’elemento soggettivo. Se, infatti, per il delitto di ricettazione il fine è quello del profitto, per il reato di riciclaggio il fine è far perdere le tracce dell’origine illecita.

Quanto alla sussistenza del reato presupposto, non è necessario un accertamento giudiziale definitivo, essendo sufficiente che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il riciclaggio o autoriciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza. Va rammentato poi che i delitti di riciclaggio sono configurabili anche quando l’autore del delitto presupposto non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità con riferimento a tale delitto.

Questi sono i reati presupposto:

art. 648 c.p.: ricettazione

– art. 648bis c.p.: riciclaggio

– art. 648 ter c.p.: impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita

– art. 648 ter.1 c.p.: autoriciclaggio

 

  1. Trattamento sanzionatorio

In relazione ai reati di cui agli artt. 648,  648bis, 648 ter e 648 ter.1, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote. Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengano da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni, si applica la sanzione da 400 a 100 quote.

In relazione a questi reati si applicano all’ente le sanzioni interdittive per una durata non superiore a due anni.

 

  1. Linee guida per la redazione del Modello Organizzativo

Ai fini della predisposizione e dell’aggiornamento del Modello organizzativo, va evidenziato preliminarmente che esiste un importante punto di contatto fra la normativa antiriciclaggio (d.lgs. 231/2007) e la responsabilità degli enti (d.lgs. 231/2001).

Infatti, la prima prevede degli obblighi preordinati alla prevenzione e gestione del rischio di riciclaggio attraverso una “costumer due diligence” e una segnalazione di operazioni sospette sulla base indici di anomalie elaborati dalle autorità di vigilanza.

Le norme in materia di antiriciclaggio incidono anche sulla struttura organizzativa dei soggetti destinatari. Si pensi ad esempio all’art 15 il quale prevede che “le autorità di vigilanza di settore e gli organismi di autoregolamentazione dettano criteri e metodologie, commisurati alla natura dell’attività svolta e alle dimensioni dei soggetti obbligati, per l’analisi e la valutazione dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, cui sono esposti nell’esercizio della loro attività”.

Dalla lettura della norma si evince facilmente l’analogia con l’analisi di rischio legata all’attività dell’ente. Al comma 2 è stato previsto che “i soggetti obbligati, adottano procedure oggettive e coerenti rispetto ai criteri e alle metodologie di cui al comma 1, per l’analisi e la valutazione dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. Per la valutazione del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, i soggetti obbligati tengono conto di fattori di rischio associati alla tipologia di clientela, all’area geografica di operatività, ai canali distributivi e ai prodotti e i servizi offerti”.

L’art. 16, poi, disciplina le procedure di mitigazione del rischio prevedendo che i soggetti obbligati adottino i presidi e attuino i controlli, le procedure, adeguati alla propria natura e dimensione necessari a mitigare e gestire i rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. Particolare attenzione va riposta al comma 3, il quale prevede che “i soggetti obbligati adottano misure proporzionate ai propri rischi, alla propria natura e alle proprie dimensioni, idonee a rendere note al proprio personale gli obblighi cui sono tenuti ai sensi del d.lgs. 23/2007”.

Nel decreto 231/2001 si possono individuare delle modalità di condotta che si sostanziano in veri e propri protocolli idonei a dare sostanza ad un modello efficace in ottica preventiva: a tal fine, le misure prevista del decreto antiriciclaggio possono orientare le scelte relative alle predisposizione del modello.

Dopo la riforma del 2017, l’Organismo di Vigilanza non risulta più tra gli organi societari interni cui compete la vigilanza sul rispetto della normativa antiriciclaggio: prima, infatti, l’Odv era deputato alla vigilanza del rispetto della normativa antiriciclaggio, seppur nei limiti delle proprie competenze. Tale scelta è stata aspramente criticata dalla dottrina (anche di merito (si veda Trib. Milano 7 aprile 2021, sent. n. 10748).

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