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Il delitto di contraffazione del marchio e la responsabilità dell’ente (art. 25 bis d.lgs. 231/2001)

La recente sentenza n. 21640/2023, consente di fare il punto sul tema della contraffazione del marchio e sul relativo reato presupposto previsto dall’art 25 bis d.lgs. 231/2001. La norma in esame, derubricata, “falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento”, richiama, fra i vari reati, alla lettera f bis), il delitto di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (art. 473 c.p.) ed il delitto di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.).

Entrambi sono reati di pericolo, in quanto è rilevante la mera attività di contraffazione o alterazione dell’altrui marchio in quanto foriera dell’immissione sul mercato di beni suscettibili di ledere la fede pubblica e ingenerare confusione, nuocendo all’affidamento dei consumatori (Sent. n. 14812/2016; Sent. n. 27743/2019).

Nel caso in esame una s.r.l. veniva condannata per contraffazione del marchio, ai sensi dell’art 25 bis d.lgs. 231/2001 alla sanzione pecuniaria pari a 200 quote, alla sanzione interdittiva per sei mesi e alla pubblicazione della sentenza.

Nel merito, integra il delitto di cui all’art. 474 c.p. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto. La norma tutela, in via principale e diretta la fede pubblica, intesa come “affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno ed i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio”.

Un marchio si intende contraffatto quando “la confusione con un segno distintivo similare emerga non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata valutazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo all’insieme degli elementi salienti, grafici, fonetici o visivi”. Inoltre, “ove si tratti di un marchio forte, sono illegittime anche le variazioni, sia pure rilevanti ed originali, che lasciano sussistere l’identità sostanziale del nucleo ideologico in cui si riassume l’attitudine individuante” (Sent. n. 40324/2019).

In materia di tutela dei marchi forti, è stato sottolineato che è punibile la riproduzione di personaggi di fantasia a marchio registrato, pur non fedeli, ma “rappresentativi di una forte somiglianza, che renda possibile la confusione delle immagini tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore”.

Spesso, ciò che rende un marchio forte, al tempo stesso lo rende notorio: per questo motivo, infatti, in questi casi, non è formalmente richiesta la registrazione a fini della tutela prevista.

L’accertamento della responsabilità dell’ente sussiste a seguito della verifica della sussistenza di uno specifico collegamento tra la carenza organizzativa e il fatto-reato: il reato presupposto deve essere collegato con la carenza di auto organizzazione preventiva, che costituisce la vera e propria condotta rilevante per l’ente ai fini del d.lgs. 231/2001.

Il giudice, in questa sede, dovrà motivare la scelta per cui ha affermato la responsabilità dell’ente, dopo aver valutato il suo deficit di auto organizzazione, inteso come “la carenza di quel complesso di regole elaborate dall’ente stesso per la prevenzione del rischio reato, che trova la loro esternazione nel Modello di organizzazione, gestione e controllo”.

Non è necessario, dunque, un controllo circa l’adeguatezza del Modello eseguito in generale, ma è necessaria una verifica in concreto: non si può – e non si deve – sanzionare l’ente a causa di una “cultura d’impresa deviante”.

La verifica deve vertere su due elementi:

1) accertare che il reato commesso dalla persona fisica sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare organizzativa violata mirava ad evitare o, quantomeno, tendeva a minimizzare;

2) accertare che qualora il Modello fosse stato rispettato, l’evento non si sarebbe verificato.

L’ente che non si sia dotato affatto di un Modello che abbia tenuto conto di questo delitto presupposto potrebbe rispondere del reato presupposto commesso dal suo rappresentante, se questo è stato commesso nel suo interesse o vantaggio.

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