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Formazione, informazione e addestramento ai fini della responsabilità penale: gli obblighi del datore di lavoro

In tema di sicurezza, non può ritenersi adeguata una formazione affidata alla mera trasmissione verbale o gestuale da parte di un soggetto dotato di superiore esperienza empirica sul campo.

Con sentenza n. 6301 del 17 gennaio 2024 (dep. 13 febbraio 2024), la quarta sezione penale della Corte di Cassazione, intervenendo in materia di infortuni sul lavoro, ha ribadito alcuni principi fondamentali in merito agli obblighi di formazione a carico del datore di lavoro.

Secondo il dettato normativo l’addestramento è concetto diverso dalla formazione e dalla informazione. L’art. 2 del D. L.vo 9 aprile 2008 n. 81, infatti, distingue chiaramente, specificandone i diversi contenuti:

  • «formazione»: processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda ed alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi;

  • «informazione»: complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro;

  • «addestramento»: complesso delle attività dirette a fare apprendere ai lavoratori l’uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di protezione individuale, e le procedure di lavoro.

La giurisprudenza ha chiarito che. in tema di sicurezza, non può ritenersi adeguata una formazione affidata alla mera trasmissione verbale o gestuale da parte di un soggetto dotato di superiore esperienza empirica sul campo giacché questa, sebbene a sua volta importante, non può sostituire ex se quel bagaglio di conoscenze ed acquisizioni tecniche, di cui un formatore qualificato per la sicurezza deve essere dotato (Cass. Pen., sez. IV, 12 maggio 2021, n. 35816 “in tema di infortuni sul lavoro, non è sufficiente, per far ritenere adempiuti gli obblighi di sicurezza da parte del datore di lavoro, la messa a disposizione dei lavoratori di manuali di istruzione per l’uso dei macchinari“; Cass. Pen., sez. IV, 12 febbraio 2014, n. 21242, secondo cui “l’attività di formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. L’apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge“).

Anche il tema del giudizio controfattuale è stato esplorato in maniera adeguata e conforme al principio per cui “il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell’espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi (Cass. Pen., sez. IV, 13 febbraio 2020, n. 8163).

Nel caso di specie, i giudici di merito avevano escluso che la condotta del lavoratore infortunatosi, il quale di istinto aveva cercato di afferrare il tombino, potesse essere qualificata come abnorme e valesse perciò ad interrompere il nesso di causalità con l’evento, rilevando che essa non si era realizzata in ambito “avulso dal procedimento lavorativo a cui era stato addetto”.

Gli obblighi che il datore di lavoro non aveva ottemperato – hanno osservato i giudici – miravano proprio a scongiurare eventi determinati da condotte imprudenti o comunque colpose del lavoratore. A seguito dell’introduzione del D.L.vo 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008 si è passati dal principio «dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore» al concetto di «area di rischio» (Cass. Pen., sez. IV, 23 marzo 2007, n. 21587) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, fermo restando, in ogni caso, il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all’interno dell’area di rischio.

Proprio nell’area di rischio si colloca l’obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore, con la conseguenza che deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Cass. Pen., sez. IV, 13 dicembre 2016, n. 15124), oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Cass. Pen., sez. IV, 10 gennaio 2018, n. 7188).

Sotto altro profilo, la Suprema Corte ha ricordato che in tema di lesioni personali la durata della malattia causata alla vittima costituisce accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione immune da vizi (Cass. Pen., sez. IV, 21 ottobre 1982, n. 12035).

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