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Il reato di realizzazione di discarica abusiva e profili di responsabilità degli enti

Ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica abusiva, è sufficiente l’accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito, con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato.

La Corte di Cassazione, sez. III, con la sentenza 35853/2023, ha affermato questo importante principio in materia ambientale e del reato di realizzazione di discarica abusiva.

La vicenda traeva origine dalla sentenza di condanna della Corte di appello di Cagliari, la quale confermava la decisione di primo grado, condannando il detentore di un’area in cui sarebbero stati depositati vari rifiuti, pericolosi e non, per il reato di cui all’art. 256 d.lgs. 152/2006. La norma in questione punisce “chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione”.

La pena varia a seconda che si tratti di rifiuti non pericolosi (arresto da tre mesi a un anno o ammenda da 2600 a 26000 euro) ovvero di rifiuti pericolosi (arresto da sei mesi a due anni e ammenda da 2600 a 26000 euro).

Possono commettere questo reato i titolari di imprese ed i responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee.

Il terzo comma stabilisce che poi la pena per il gestore della discarica non autorizzata (arresto da sei mesi a due anni e ammenda), prevedendo anche un’aggravante nel caso in cui la discarica fosse destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi.

Tale fattispecie è anche presupposto della responsabilità a carico dell’ente ex art. 25 undecies d.lgs. 231/2001. Infatti, la norma richiama espressamente fra le diverse fonti del diritto penale ambientale, il d.lgs. 152/2006. In particolare, vengono previste tre figure di illecito amministrativo dipendente da reato per l’ente, ossia:

  1. per la violazione del comma 1, lettera a) (in caso di rifiuti non pericolosi), e 6, primo periodo, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
  2. per la violazione del comma 1, lettera b) (in caso di rifiuti pericolosi), 3, primo periodo, e 5, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
  3. per la violazione del comma 3 (discarica abusiva), secondo periodo, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote.

Inoltre, ai sensi del comma 7 dell’art. 25 undecies d.lgs. 231/2001, è prevista anche la sanzione interdittiva per una durata non superiore a sei mesi.

Avverso tale sentenza, la difesa del condannato ricorreva per Cassazione, sollevando unicamente un rilievo: i giudici territoriali avrebbero omesso di verificare se effettivamente il detentore possedesse la necessaria qualifica di titolare di impresa o responsabile di ente. Il terreno adibito a discarica abusiva, infatti, era accessibile da tutti.

Il ricorso è stato giudicato inammissibile.

La Cassazione pone l’accento sul fatto che, durante l’accesso all’area interessata, venivano riscontrati rifiuti di vario genere, fra cui fusti e bidoni contenenti rifiuti oleosi, bitume e altre sostanze derivanti da processi di miscelazione di sostanze chimiche, “risultando l’intera superficie connotata da un grave ed evidente degrado”.

Inoltre, a prescindere dal coinvolgimento dell’imputato nel trasporto del materiale di scarto, “l’elevato quantitativo di rifiuti, tra loro eterogenei e alcuni anche pericolosi, in un’area non piccola ma neanche particolarmente estesa, valeva a smentire la natura occasionale del conferimento di quanto rinvenuto, tanto più in ragione del fatto che sono state rilevate nell’area tracce di movimento di mezzi di grosse dimensioni, ciò a riprova di un passaggio non risalente, essendo in ogni caso la stratificazione, la diffusione e le condizioni dei rifiuti sintomatiche di una pluralità di conferimenti effettuati in un arco temporale prolungato”.

La Suprema Corte, dunque, coerentemente l’indirizzo prevalente (sent, sez III, 39027 del 20/04/2018) ha sostenuto che ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente l’accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata in deposito, in considerazione delle quantità ingenti degli stessi e dello spazio occupato. Inoltre, viene precisato quanto sia irrilevante la circostanza per cui siano del tutto mancate attività di trasformazione, recupero e riciclo, tipiche di una discarica autorizzata.

Da ultimo, un interessante rilievo in materia di prescrizione. Relativamente al momento consumativo del reato contestato, la Corte sottolinea che, l’attività di gestione abusiva di discarica comprende anche la fase post-operativa, con la conseguenza che il reato verrebbe meno solamente con il verificarsi di una serie di condizioni quali il venir meno della situazione antigiuridica, la rimozione dei rifiuti o la bonifica, il sequestro dell’area o la pronuncia della sentenza di primo grado.

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