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Il sequestro all’ente e il profitto confiscabile

Il profitto confiscabile all’ente, relativamente all’illecito amministrativo di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, si può determinare anche sulla base di dati notori precisi, desunti da analisi statistiche e corroborati da specifiche norme di riferimento.

Così, la Corte di Cassazione, sez.  II, con la sentenza n. 40417/2023 depositata il 4 ottobre scorso, ha confermato l’orientamento consolidato in materia di confisca.

La Suprema Corte confermava il sequestro nei confronti di un istituto sanitario in relazione ad una truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche e all’illecito amministrativo di cui all’articolo 24 del d. lgs. 231/2001.

La vicenda in esame traeva origine da sentenza emessa dalla Corte di Appello di Torino che riformava parzialmente la decisione del Tribunale di Novara nei confronti di una società alla quale si contestava l’aver beneficiato del rimborso di prestazioni sanitarie non rientranti nella convenzione con l’ente locale. Confermando il giudizio sulla responsabilità della persona giuridica limitatamente all’ipotesi di truffa, la Corte di Appello assolveva l’ente dalle altre imputazioni.

Contestualmente veniva ordinata la confisca nei confronti della società.

La difesa della persona giuridica proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che la determinazione del profitto sequestrabile era errata, poiché teneva conto di erogazioni risalenti e riferibili quindi a reati ormai prescritti.

Eccepiva, in particolare, oltre alla insussistenza dell’illecito amministrativo di cui all’art. 24 d.lgs. 231/2001 (relativamente al reato di truffa), la violazione di legge in relazione alla parte della decisione in cui si riteneva che la truffa contestata integrasse un’ipotesi di reato a consumazione prolungata.

Più nello specifico, la truffa si doveva considerare consumata in una data precedente: in questo modo si sarebbe dichiarata la prescrizione dell’illecito dipendente da reato.

Infine, si deduceva la violazione di legge e vizio di motivazione, censurando l’illegittimità della confisca in danno della persona giuridica, per la totale carenza di motivazione relativamente alla quantificazione dell’ammontare del profitto, non potendosi ammettere alcuna determinazione equitativa della misura del profitto confiscabile nei confronti della persona giuridica.

L’art. 19 d.lgs. 231/2001 stabilisce che “nei confronti dell’ente è sempre disposta la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.

Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato”.

I Giudici di legittimità accoglievano il ricorso, sottolineando come effettivamente la motivazione fosse illogica con riferimento al parametro seguito nel determinare la misura del profitto: la determinazione in via equitativa non è prevista né consentita dal d.lgs. 231/2001.

Diversamente, l’art. 19 impone un giudizio fondato sul “vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito”. Infatti, qualora il profitto derivi dalla esecuzione viziata di un rapporto sinallagmatico, non si dovrà tenere conto  dell’utilità conseguita – eventualmente – dal danneggiato in ragione dell’esecuzione delle prestazioni che il contratto gli impone. Il profitto si può determinare anche sulla base di dati notori precisi, desunti da analisi statistiche e corroborati da specifiche norme di riferimento (Cass Pen., sez. II, n. 50710/2019).

Gli Ermellini precisavano inoltre che, in tema di frode in danno di enti previdenziali, è configurabile il reato di truffa “a consumazione prolungata” quando le erogazioni pubbliche siano riconducibili ad un originario ed unico comportamento fraudolento, mentre si configurano plurimi ed autonomi fatti di reato quando, per il conseguimento delle erogazioni successive alla prima, sia necessario il compimento di ulteriori attività fraudolente.

Ne consegue che, ai fini della prescrizione, nella prima ipotesi, il relativo termine decorre dalla percezione dell’ultima rata di finanziamento, mentre, nella seconda, dalla consumazione dei singoli fatti illeciti

Sul punto, la Corte ha confermato il provvedimento impugnato che evidenziava come non si potessero escludere le precedenti erogazioni dalla quantificazione del vantaggio conseguito dall’istituto, perché la percezione indebita dei vari emolumenti era un comportamento unitario, che non poteva ancora ritenersi concluso. 

 

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