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L’incompatibilità del difensore nominato dal rappresentante legale indagato nel medesimo procedimento

La Suprema Corte di Cassazione, con una pronuncia della Seconda Sezione Penale, la n. 13003 del 31 gennaio 2024, è tornata ad esprimersi sul tema della rappresentanza dell’ente e, in particolare, sull’incompatibilità del difensore di fiducia nominato dal legale rappresentante, anch’egli imputato nel medesimo procedimento e sulla possibilità di impugnare i provvedimenti in materia di sequestro preventivo da parte dei singoli soci.

Le società ricorrenti lamentavano la violazione di legge in merito alla dichiarazione di inammissibilità del riesame proposto dai difensori delle stesse perché nominati in precedenza dal legale rappresentante, anch’esso indagato nel medesimo procedimento per i reati presupposti da cui discendeva l’illecito amministrativo, assumendo che il Tribunale avesse erroneamente applicato il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 33041/2015, in forza del quale deve essere assicurata all’ente la difesa tecnica attraverso la nomina di un difensore d’ufficio, per cui il PM deve provvedere alla nomina sin dal primo atto a cui il difensore ha diritto di assistere.

Circostanza, quest’ultima, non ottemperata nel caso di specie secondo quanto sostenuto dalle società.

Le ricorrenti, nonché i singoli soci, difatti, si dolgono del fatto che sia stata omessa l’informazione di garanzia con l’espressa indicazione dell’incompatibilità per l’amministratore indagato della rappresentanza dell’ente ai sensi dell’art 39 d.lgs. 231/2001 nonché la nomina del difensore d’ufficio per la tutela dei diritti dell’ente, venendo, dunque, private della difesa di fiducia e d’ufficio e assumendo, conseguentemente, la nullità assoluta del provvedimento di perquisizione e sequestro.

I giudici della Suprema Corte, con la sentenza in commento, chiamati a pronunciarsi sulla vicenda de qua, ribadendo quanto affermato dalla sentenza Capano, pronunciata dalla Terza Sezione Penale nel maggio 2022, hanno statuito l’inammissibilità delle censure avanzate dalle società ricorrenti poiché il legale rappresentante indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa della condizione di incompatibilità in cui versa, alla nomina del difensore dell’ente per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall’art. 39 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 ma, è compito dell’ente prevedere, nel proprio modello organizzativo, regole cautelari per le possibili situazioni di conflitto di interesse del legale rappresentante indagato per il reato presupposto, valevoli a munire l’ente di un difensore, nominato da soggetto specificamente delegato, che tuteli i suoi interessi.

Adempimento, quest’ultimo, che le società ricorrenti non hanno assolto.

Da ultimo, gli Ermellini hanno colto, ancora una volta, l’occasione per ribadire quanto affermato nella nota sentenza a Sezioni Unite Gabrielloni che, in tema di rappresentanza dell’ente, ha statuito l’incompatibilità del rappresentante legale imputato di rappresentare l’ente in giudizio in quanto si trova in una posizione di obiettiva e insanabile conflittualità con l’ente, il quale potrebbe avere interesse a dimostrare che il proprio rappresentante ha agito nel suo esclusivo interesse o in quello di terzi o a provare che il reato sia stato posto in essere attraverso una elusione fraudolenta dei modelli organizzativi adottati, escludendo così la propria responsabilità e facendola ricadere sul solo rappresentante.

Tale divieto va inteso in senso assoluto e inderogabile nell’ottica di assicurare la piena garanzia del diritto di difesa del soggetto collettivo, il quale risulterebbe del tutto compromesso qualora l’ente partecipasse al procedimento attraverso un soggetto portatore di interessi confliggenti, previsti iuris et de iure in tali circostanze.

Di talché, le censure proposte dalle ricorrenti sono state dichiarate manifestamente infondate, ribadendo, inoltre, con particolare riguardo alle doglianze dei singoli soci avverso i provvedimenti cautelari reali, che il singolo non è legittimato ad impugnare i provvedimenti in materia di sequestro preventivo di beni di proprietà di una società, attesa la carenza di un interesse concreto ed attuale, non vantando egli un diritto alla restituzione della cosa o di parte della somma equivalente al valore delle quote di sua proprietà, quale effetto immediato e diretto del dissequestro.

Dalla pronuncia dei giudici di Piazza Cavour si evince, quindi, come, per sfuggire a risvolti pregiudizievoli per l’ente, nell’ottica della tutela del proprio diritto di difesa, spetti all’ente stesso adottare le adeguate procedure per ovviare ad eventuali situazioni di incompatibilità del difensore nominato dal rappresentante legale indagato o imputato nel medesimo procedimento.

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