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Interesse e vantaggio dell’ente nei reati colposi d’evento

La fattispecie di illecito amministrativo dipendente da reato, ai sensi del D.Lgs. 231/2001, è strutturata sulla necessaria compresenza di una duplice componente, tanto di natura “oggettiva” quanto “soggettiva”.

La prima risiede nella necessaria circostanza che uno dei reato-presupposto sia commesso da un soggetto intraneo all’ente, posto in posizione apicale o subordinata in forza di un rapporto di immedesimazione organica, nell’interesse o a vantaggio dell’Ente; la seconda, invece, definisce i requisiti della “colpa da organizzazione” teorizzata dagli artt. 6/7 del medesimo Decreto.

Tale impostazione evidenzia chiaramente che il prototipo di responsabilità amministrativa delineata dal Legislatore fosse propriamente calibrato sulla “criminalità d’impresa dolosa”, ossia fosse finalizzato a sanzionare quei reati precipuamente commessi in esecuzione di una politica d’impresa predefinita.

Tale modello, invero, è stato oggetto di una necessaria rilettura a seguito dell’introduzione, prima con L. 123/2007 (art. 25-septies) e poi con L. 121/2011 (art. 25-undecies), dei reati colposi d’evento fra i reati-presupposto.

Un primo interrogativo è sorto riguardo all’interpretazione dei criteri d’imputazione oggettiva: ad una tesi “monistica” – secondo la quale, in ossequio al dettato degli artt. 5 comma 2 e 12 co. 1, la locuzione “interesse o vantaggio” dovesse considerarsi un’endiadi così che dovesse darsi primario rilievo all’interesse, essendo invece il vantaggio una “variabile causale che potrebbe anche darsi concretamente, senza che per ciò solo si debba ipotizzare una responsabilità dell’ente” (DE SIMONE) – si contrapponeva la teoria “dualistica”, secondo cui anche il vantaggio possiede un’autonoma valenza imputativa dell’illecito amministrativo.

Invero, la prevalenza della seconda teoria si giustifica proprio in relazione all’imputabilità all’Ente dei reati colposi d’evento nei quali, in assenza di un interesse logicamente ravvisabile nella causazione dell’evento morte/lesioni del lavoratore, il vantaggio risulta essere la chiave preferibile per l’ascrizione di una responsabilità all’Ente.

Dibattuta è stata anche l’esatta portata semantica della nozione di interesse e vantaggio.

In relazione al primo, alcuni teorizzavano una “concezione finalistica”, essendo l’interesse ravvisabile nel finalismo della condotta costituente reato, dovendo questa tendere verso un avvantaggiamento dell’ente eziologicamente scaturente dalla sua realizzazione; altri, invece, sostenendo l’incompatibilità di una concezione psicologica dell’interesse soprattutto con le fattispecie colpose d’evento, propugnavano una concezione “oggettiva” dell’interesse: questo deve essere parametrato all’idoneità in concreto della condotta a realizzare una condizione di avvantaggiamento dell’ente.

È indubbio che la seconda interpretazione risulti essere maggiormente confacente a fattispecie di reato che (nella loro verificazione) non potrebbero logicamente presentare una tensione finalistica  verso la realizzazione di eventi ontologicamente dannosi.

Il criterio del vantaggio, invece, in assenza di una esplicita connotazione patrimoniale prevista dal dato normativo, è stato inteso secondo un’accezione più lata, ricomprendendovi anche tipologie di vantaggio non economico; sul punto, una necessaria apprezzabilità economica del vantaggio è stata recuperata valorizzando la circostanza che l’attività degli enti responsabili ex D.Lgs. 231/2001 è ontologicamente connotata ad una logica di profitto (AMARELLI).

Quindi, se da una parte i criteri d’imputazione oggettiva non hanno sollevato particolari interrogativi in relazione ai reati colposi di mera condotta (quali le contravvenzioni sanzionate ex art. 25-undecies in materia ambientale), notevoli dubbi interpretativi sono sorti – invece – in relazione ai reati colposi d’evento (artt. 589 co. 2 e 590 co. 3 c.p.) previsti all’art. 25-septies in tema di sicurezza sul lavoro.

Infatti, è logico asserire che non possa realizzarsi nell’interesse o a vantaggio dell’ente una condotta colposa – posta in essere in violazione delle prescrizioni normative cautelari – che cagioni eventi che, per natura, sono certamente suscettibili di arrecare danni di natura prevalentemente economica.

Ad una corrente che riteneva ab origine incompatibili tali criteri di imputazione oggettiva ai reati colposi d’evento, è infine prevalsa una diversa interpretazione, avallata anche dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (sentenza Thyssen-Krupp, n. 38343/2014): la sussistenza di tali requisiti deve essere accertata in relazione alla condotta – posta in essere in violazione delle norme cautelari – e non, invece, avendo riguardo all’evento, il quale è ontologicamente inidoneo a produrre un tornaconto economico all’ente.

Nel dettaglio, la Cassazione ha statuito che:

“ricorr[e] il requisito dell’interesse qualora la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento […], abbia consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un’utilità alla persona giuridica […]; ciò accade quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito […] di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d’impresa. Ricorrerebbe il requisito del vantaggio per l’ente allorchè la persona fisica, agendo per suo conto, abbia violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e abbia realizzato una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto” (DE SIMONE, Cass. n. 2544/2016).

La casistica giurisprudenziale ha riconosciuto un interesse dell’ente laddove l’agente abbia consapevolmente (ossia, in esecuzione di una preordinata politica d’impresa) omesso la corretta implementazione dei presidi prevenzionistici al fine di far conseguire all’Ente un risparmio di spesa poiché

“l’organizzazione della sicurezza costa […] e la disorganizzazione giova, in un’ottica di risparmio di risorse e di energie” (BLAIOTTA); parimenti, è costante insegnamento della Suprema Corte che il vantaggio vada inteso “in una prospettiva patrimoniale, quale risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dello strumentario ovvero quale incremento economico conseguente all’aumento della produzione non ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionistica” (Cass. n. 31003/2015).

La seguente impostazione, sebbene sia idonea ad evitare una sostanziale disapplicazione della responsabilità in parola in relazione ai reati colposi d’evento, non è esente da critiche.

In primo luogo, secondo alcuni, un’interpretazione che riferisca i criteri d’imputazione oggettiva alla sola condotta potrebbe contrastare con il principio di legalità – nonché integrare un’analogia in malam partem – nella misura in cui la littera legis dell’art. 5 prevede che “il reato”(comprensivo anche dell’evento) sia commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

Ne consegue, pertanto, che tale teoria potrebbe condurre all’estremo secondo cui l’ente potrebbe essere responsabile – al ricorrere della colpa da organizzazione – per la mera violazione della condotta cautelare, non essendo invece l’evento del reato rientrante nell’elemento soggettivo dello stesso.

Da ultimo, l’interpretazione oggi maggioritaria risulta perfettamente confacente alle ipotesi in cui l’intraneo agisca con colpa cosciente mentre incontra difficoltà applicative riguardo alle condotte realizzate con colpa incosciente, per cui l’ente potrebbe comunque rispondere qualora il criterio dell’interesse fosse inteso in senso oggettivo ovvero laddove l’ente abbia realizzato un vantaggio patrimoniale.

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