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La Cassazione torna a pronunciarsi sulla incompatibilità del difensore (Cass. Pen. 18854/2023)

Il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell’ente. Con la sentenza n. 18854/2023, VI sez., depositata lo scorso 4 maggio, la Corte di Cassazione è tornata sul tema del divieto assoluto di rappresentanza imposto dall’art. 39 del D.Lgs. n. 231/2001.

Tale norma prevede che l’ente non possa partecipare al procedimento penale mediante il proprio rappresentante legale che sia imputato o indagato per il reato da cui dipende l’illecito amministrativo.

Nel caso di specie, Il Gip di Roma rigettava la richiesta di revoca dell’ordinanza con la quale disponeva l’assegnazione di un autovettura in custodia giudiziale, con facoltà d’uso, alla Guardia di Finanza.

Avverso tale ordinanza ricorrevano i difensori nominati dal legale rappresentante, indagato del reato presupposto, di una s.r.l.

Le motivazioni alla base del provvedimento, venivano ritenute dai difensori “meramente apparenti”, in quanto prive di connessione con le esigenze previste dal legislatore e in quanto veniva adottato in assenza di indicazioni circa le attività da svolgere sotto copertura e senza precisare quali sarebbero i compiti istituzionali da perseguire.

I giudici della Suprema Corte hanno dichiarato il ricorso inammissibile, in quanto proposto da soggetto non legittimato ed incompatibile.

Infatti, dagli atti del procedimento risultava che il legale rappresentante della società, al quale veniva contestata la commissione del reato presupposto – per il quale l’ente doveva rispondere –  era stato imputato per il  sequestro preventivo, dal quale ha avuto origine il provvedimento impugnato per Cassazione.

Nella motivazione veniva richiamato, in modo chiaro e sintetico, il principio di diritto posto dalle Sezioni Uniti, ossia che il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell’ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dal d.lgs. 231/2001 (SS.UU. n. 33041/2015 Gabbrielloni).

Viene rigettata, ai sensi dell’art. 591 c.p.p., la richiesta di riesame di decreto di sequestro preventivo, in quanto l’istanza era stata presentata dal difensore dell’ente nominato dal legale rappresentante indagato per il reato per cui si procedeva.

Il ricorso è quindi inammissibile, in ragione del conflitto d’interessi esistente tra la propria posizione di persona sottoposta ad indagine del reato da cui dipende l’illecito amministrativo e la rappresentanza dell’ente indagato per lo stesso.

Inoltre, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese del procedimento, come statuito dall’art. 616 c.p.p., in quanto non c’era motivo di ritenere che il ricorse fosse stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”.

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