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Le sanzioni interdittive

L’art. 9 d.lgs. 231/2001, ha introdotto la disciplina generale delle sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato commessi dall’ente, fra le quali rientrano le sanzioni interdittive.

Nello specifico, la relazione ministeriale 300/2000 prevedeva che si dovesse disporre di sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive a carico degli enti”. Da ciò è derivato un sistema articolato, complesso e in qualche modo unico nel suo genere, composto da sanzioni pecuniarie e sanzioni interdittive.

Dal punto di vista edittale non c’è distinzione fra sanzioni destinate a soggetti apicali ed ai sottoposti: non è stata, quindi, replicata la differenza introdotta sul piano dei criteri di imputazione della responsabilità.

La volontà del legislatore era di, da un lato adeguare la risposta punitiva alle peculiari caratteristiche soggettive della persona giuridica, soprattutto sotto il profilo special-preventivo; dall’altra parte, tenere presente la logica sottesa alle diverse sanzioni, ovvero essere in grado di adattarsi alle diverse gravità degli illeciti e dalle molteplici realtà economiche destinatarie delle sanzioni. E’ fondamentale garantire una efficacia deterrente: in questo modo, la sanzione della pena pecuniaria e della limitazione dell’operatività aziendale si pongono efficacemente quest’obiettivo dissuasivo.

La struttura delle sanzioni 231 in generale è progettata per favorire condotte riparatorie dell’ente, consistenti, fra l’altro, anche nell’adozione ed efficace attuazione di organizzazioni virtuose, finalizzate ad impedire in futuro il verificarsi di reati.

  • Quali sono le sanzioni interdittive?

Per quanto riguarda le sanzioni interdittive, queste possono essere:

– interdizione dall’esercizio dell’attività;

– sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;

– divieto di contrattare con la pubblica amministrazione;

– esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi, sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;

– divieto di pubblicizzare beni o servizi.

La persona giuridica potrà essere oggetto di sanzione interdittiva a seconda della gravità del reato, partendo dai casi più lievi, che potranno risolversi in mere limitazioni settoriali dell’autonomia dell’ente, passando a casistiche più gravi, che possono arrivare a causare una vera e propria paralisi dell’attività imprenditoriale (che si può protrarre fino a un massimo di due anni).

Nell’ottica di una crescente invasività e varietà delle sanzioni interdittive, si può agevolmente ricavare l’obiettivo del legislatore del 2001: consentire al giudice di colpire la persona giuridica proprio nella sua essenza, ovvero nella sua possibilità di auto-organizzarsi e nella sua autonomia decisionale. Tale sanzione infatti priva – parzialmente o totalmente – l’ente della sua libertà di auto determinazione, con enormi e drastiche ricadute dal punto di vista economico.

  • Durata delle sanzioni interdittive

Le sanzioni interdittive possono durare dai due mesi ai due anni (art. 13). Nonostante ciò, queste possono essere applicate in via definiva (art. 16) al ricorrere di alcune circostanze:

– l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità ed è già stato condannato, almeno tre volte negli ultimi sette anni, alla interdizione dall’esercizio dell’attività;

– l’ente è già stato condannato alla stessa sanzione almeno tre volte negli ultimi sette anni;

– l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità.

Di contro, l’art. 13 comma 3, stabilisce i casi in cui non debba avere luogo l’applicazione delle sanzioni interdittive, ossia:

l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo;

– il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità.

Quanto al criterio applicativo delle misure interdittive, il percorso logico attraverso cui addivenire alla loro scelta, sia per quanto riguarda la tipologia, sia per quanto riguarda la durata, è delimitato dagli art. 11 e 14 del decreto, i quali dispongono che si debba tenere conto:

– della gravità del fatto;

– del grado di responsabilità dell’ente;

– dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze di ulteriori illeciti.

  • Revoca delle sanzioni interdittive

Infine, per quanto riguarda la revoca, l’art. 17 afferma che non si debbano applicare sanzioni interdittive allorquando, l’ente, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado:

– abbia risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;

– abbia eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

– abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.

Sul punto si veda anche la sentenza della Corte di Cassazione, sez VI, 6248/2012, che ha ribadito l’importanza dell’osservanza di tali regole ai fini della revoca delle sanzioni interdittive.

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