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La motivazione del decreto di sequestro emesso nei confronti dell’ente indagato

Il sequestro preventivo a carico di un ente presuppone l’adeguata motivazione sul concreto pericolo di depauperamento dei beni, tale da giustificare la natura anticipatoria della misura cautelare.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47640 dello scorso 28 novembre, si è pronunciata in questi termini, annullando il decreto che aveva disposto il vincolo sui profitti di alcune operazioni ritenute fraudolente e integranti il delitto di truffa aggravata (art. 24 d.lgs. 231/2001 e 640-bis c.p.).

Nel caso in esame, una società e il suo rappresentante legale erano indagati per i reati di truffa aggravata e indebita percezione di contributi, oltre al corrispondente illecito addebitato all’ente ai sensi del d.lgs. 231/2001. A seguito di queste contestazioni, veniva disposto il sequestro diretto per equivalente del profitto del reato: in particolare, oggetto del provvedimento ablativo erano, oltre a somme di denaro, beni immobili, quote sociali e altre utilità economiche.

Il Tribunale del Riesame riduceva parzialmente la misura ma, nonostante questo, gli indagati proponevano ugualmente ricorso per Cassazione lamentando il vizio di motivazione in relazione al periculum in mora.

Secondo la difesa, infatti, il Giudice del riesame non avrebbe indicato in concreto le ragioni per cui avesse ritenuto carenti le garanzie patrimoniali e sussistesse l’eventuale pericolo di dispersione delle stesse.

Come più volte ribadito dalla Corte di cassazione (anche a Sezioni Unite), il sequestro ha natura anticipatoria rispetto alla confisca e, proprio per questo motivo, la misura cautelare dev’essere accompagnata da concrete ragioni che la sostengono: deve sussistere, infatti, quantomeno il fondato motivo per ritenere il patrimonio insufficiente per l’adempimento.

Come sostenuto dalla Sezioni unite (Sent. 36959/2021) è innegabile che il sequestro preventivo sia finalizzato alla confisca e che, al tempo stesso, abbia natura autonoma rispetto a quello cd. ‘impeditivo’ di cui al primo comma dell’art. 321, c.p.p..

Indicativo di ciò, oltre alla distinta collocazione topografica all’interno della stessa norma, la diversa finalità, rapportata, nel caso del sequestro impeditivo, all’esigenza di evitare che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati e, nel caso del comma secondo (sequestro finalizzato alla confisca), all’esigenza di assicurare al processo le cose di cui la legge prevede la confisca indipendentemente dalla “attitudine” delle stesse a dare luogo agli effetti e alle conseguenze, in termini di aggravamento, protrazione degli effetti, e reiterazione del reato, già considerati dal primo comma.

Non per questo, tuttavia, la motivazione della misura adottata ai fini della confisca può sempre esaurirsi nel dare atto, semplicemente, della confiscabilità della cosa.

I Giudici della Suprema Corte hanno censurato il provvedimento che “ha tenuto conto della documentazione prodotta dalla difesa a riprova della solidità patrimoniale della azienda, ma ha poi compiuto una astratta valutazione, utilizzabile per tutte le attività economiche, per ritenere configurabile un futuro depauperamento del debitore, sottolineando come, in generale, le società commerciali sono soggette ad alterne fortune, determinate da un’innumerevole quantità di fattori, alcuni dei quali non dipendenti dalla buona e prudente gestione (come crisi di mercato e simili) che possono inaspettatamente in tempi rapidissimi determinare mutamenti radicali anche in relazione a situazioni apparentemente molto floride”.

Infatti, il Tribunale del riesame aveva posto a fondamento della motivazione la circostanza per cui i cespiti potevano essere dispersi sia nell’ordinaria attività economica sia per possibili incertezze gestionali conseguenti alle indagini in corso. Il fatto che un imprenditore – e più in generale una società – siano soggetti a fattori imprevedibili e a rischi d’impresa non può essere considerato un fattore motivante un decreto di sequestro successivo alle contestazioni per cui si procedeva.

La Cassazione ha accolto il ricorso, sostenendo che, il provvedimento ablativo, al contrario, avrebbe dovuto dare conto di sufficienti elementi di plausibile indicazione del periculum, in particolare delle ragioni della impossibilità nel caso concreto di attendere il provvedimento definitorio del giudizio, ragioni che non possono essere individuate in generici principi in tema di esercizio di attività commerciale, come avvenuto nel caso di specie.

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