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No all’imputazione coatta per l’ente

Il giudice per le indagini preliminari che, a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione ordini l’imputazione coatta di un ente collettivo, emette un provvedimento di tipo abnorme, pertanto da annullarsi”. Lo afferma la Corte di Cassazione per la prima volta, posto che la specifica questione non aveva ancora trovato trattazione nella giurisprudenza di legittimità.

Con sentenza n. 37751 del 15 ottobre 2024 la IV Sezione Penale della Suprema Corte si è pronunciata in tema di procedura di archiviazione nel processo nei confronti degli enti.

E’ ormai noto che la disciplina processuale relativa alla responsabilità amministrativa degli enti è ricalcata sulle disposizioni del codice di procedura penale del 1988 ed inserita agli artt. 34 e 35 del D.Lgs. n. 231/01, come da espressa previsione del legislatore delegante. Tra la disciplina processuale “ex 231” ed il codice di procedura penale vi sono, tuttavia, alcune inevitabili differenze, una tra tutte proprio la modalità d’archiviazione.

L’art. 58, infatti, prevede che il P.M., quando non deve procedere alla contestazione dell’illecito all’ente, emette decreto motivato di archiviazione, dandone comunicazione al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello. L’unica forma di controllo sulla condotta del P.M. è, pertanto, rappresentata dalla trasmissione del decreto di archiviazione al Procuratore, il quale può svolgere direttamente gli accertamenti indispensabili ed eventualmente procedere alla contestazione dell’illecito dell’ente entro sei mesi dalla comunicazione. Le condizioni che giustificano il decreto di archiviazione sono, invece, pressoché le medesime previste per le persone fisiche.

Il caso di specie trae origine dall’imputazione coatta ordinata dal Giudice delle Indagini preliminari nei confronti di tutte le persone fisiche ritenute responsabili in relazione al reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, nonché dell’Ente, quale responsabile dell’illecito amministrativo di cui le stesse facevano parte, a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione proposta dalla persona offesa.

Il P.M. con un unico provvedimento aveva disposto l’archiviazione nei confronti dell’ente, con trasmissione del provvedimento al P.G. della Corte di appello, ed aveva contestualmente richiesto al G.i.p. l’archiviazione nei confronti delle persone fisiche. L’Ente ricorreva per cassazione avverso l’ordinanza del G.i.P. lamentandone l’abnormità per palese violazione dell’art. 58 del D.Lgs. n. 231 del 2001.

L’occasione ha consentito alla Suprema Corte di valutare anche la questione della ricorribilità del provvedimento ritenuto abnorme.

Sul piano generale, viene ritenuto affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimi potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo”.

La sentenza in commento evidenzia come «la previsione di cui all’art. 58 del D.Lgs. 231/2001 definisce un sistema in sé compiuto o comunque del tutto distinto ed autonomo da quello descritto dagli artt. 408 e ss del Codice di Procedura Penale, sicché non può evocarsi l’articolo 34 del Decreto per riversare nella disciplina del procedimento di archiviazione nei confronti dell’ente tratti di quella prevista per l’archiviazione della notizia di reato».

La lettera della Legge non dà adito a dubbi: si è inteso espressamente attribuire al P.M un potere di archiviazione diretta, da taluni definita addirittura “cestinazione”, con il solo controllo gerarchico del Procuratore Generale.

Ed è la stessa Relazione al D.Lgs n. 231 del 2001 a spiegare che l’adozione di un procedimento semplificato, senza controllo del giudice, si giustifica con la natura amministrativa della responsabilità dell’ente, che non richiede necessariamente un controllo giurisdizionale sulla inazione del P.M.

Tale modello semplificato, per una scelta legislativa discrezionale, dunque, esclude sia il vaglio giurisdizionale, sia l’intervento della persona offesa.

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