Il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Milano si è pronunciato lo scorso febbraio sulla nuova regola di giudizio dell’udienza preliminare, così come modificata dalla recente Riforma Cartabia, nei confronti degli enti.
In particolare, si è soffermato sulla differenza rispetto alla regola di giudizio prevista per l’imputato persona fisica, ritenendo di non dover sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 61 d.lgs. 231/2001.
Il Giudice evidenzia come, a seguito della modifica dell’art. 425, comma 3, c.p.p., nella parte in cui la nuova regola di giudizio è quella per cui il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche “quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”, il disposto dell’art. 61 d. lgs. 231/2001 non ha subito alcuna modificazione.
Infatti, tale norma prevede che il giudice debba pronunciare sentenza di non luogo a procedere oltre che in ipotesi tassativamente previste, “quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere in giudizio la responsabilità dell’ente”.
Di fronte a questa discrasia fra le due regole di giudizio, da un lato per l’imputato persona fisica e dall’altra parte per l’imputato persona giuridica, si è pronunciato per la prima volta il GUP di Milano. Nello specifico, si è soffermato sul fatto che, in difetto di indici chiari, desumibili anche dalla relazione illustrativa prodromica della Riforma Cartabia, non è possibile stabilire se la stessa sia frutto di una scelta consapevole da parte del Legislatore della riforma ovvero di un mero difetto di coordinamento.
Insomma, stando al giudice, nella prima ipotesi, l’art. 34 d.lgs. 231/2001 costituirebbe un “ostacolo insormontabile ai fini di un’interpretazione quale quella subordinatamente invocata dalla difesa”.
Contrariamente, qualora, si dovesse trattare di un difetto di coordinamento fra la Riforma e l’art. 61 d.lgs. 231, evitando interpretazioni creative o abrogative, una soluzione coerente sembrerebbe quella più conforme al tenore della norma: la nuova regola di giudizio prevista dal previgente testo dell’art. 425 c.p.p. per il processo nei confronti della persona fisica, “è sostanzialmente sovrapponibile all’attuale”, secondo un’interpretazione evolutiva richiamata dalla Corte di Cassazione (n. 32023/2017).
In particolare, la Suprema Corte aveva escluso la possibilità che il giudice dell’udienza preliminare potesse verificare, ai fini del rinvio a giudizio, che la piattaforma degli elementi conoscitivi, costituiti dalle prove già raccolte e da quelle che potranno essere verosimilmente acquisite nello sviluppo processuale, sia consistente a tal punto da far ritenere probabile la condanna e da dimostrare l’effettiva (e potenziale) utilità del passaggio alla fase dibattimentale.
Questo criterio ermeneutico può costituire un’importante spunto ai fini dell’interpretazione attuale della regola di giudizio prevista per l’ente, in termini equiparabili a quella introdotta dalla Riforma Cartabia nel procedimento nei riguardi della persona fisica.
E’ fondamentale che questo avvenga coerentemente con i principi ispiratori della Riforma e senza disparità di trattamento fra il processo nei confronti della persona fisica e quello nei confronti dell’ente.
Nulla di nuovo insomma: quella che è stata prospettata come una modifica sul piano processuale, tanto per la persona fisica quanto per la persona giuridica, in realtà non è altro che un’illusione.