In caso di definizione del giudizio mediante sentenza di patteggiamento, le parti devono includere nell’accordo non solo la sanzione pecuniaria e, se prevista, quella interdittiva, ma anche la determinazione, sia nell’an che nel quantum, della confisca.
Questo è il principio di diritto stabilito dalla VI sezione della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 30604/2024, in materia di confisca nei confronti dell’ente.
Nel caso in esame, nei confronti della società ricorrente era stata emessa sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti per l’illecito amministrativo previsto dall’art. 24 del D.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, conseguente al reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all’art. 316-ter cod. pen., commesso dal legale rappresentante.
Quest’ultimo aveva ottenuto un finanziamento di 30.000 euro tramite il Fondo di garanzia per le PMI, destinato a garantire liquidità per il pagamento di fornitori e dipendenti, secondo quanto previsto dalla normativa emergenziale introdotta dal D.L. n. 23 del 2020. Tuttavia, invece di utilizzare il prestito per le finalità previste, aveva impiegato la somma per l’acquisto di un immobile.
Il Giudice dell’udienza preliminare aveva accolto l’accordo tra le parti riguardo alla pena, ma aveva altresì disposto la confisca del profitto del reato ai sensi dell’art. 19 del D.lgs. n. 231 del 2001, quantificandolo in 30.000 euro, corrispondenti all’importo del finanziamento indebitamente percepito.
La società impugnava tale sentenza, sostenendo che il giudice aveva erroneamente quantificato il profitto dell’illecito nell’intero ammontare del finanziamento, senza considerare che tale somma rappresentava un debito e non un illecito arricchimento.
Pertanto, se il finanziamento fosse stato confiscato, si sarebbe verificata un’ingiusta duplicazione del pagamento, poiché la società sarebbe stata privata del finanziamento e, allo stesso tempo, obbligata a restituire l’importo all’istituto di credito.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso, ha ritenuto che la decisione dipendesse da una questione preliminare e assorbente: la corretta qualificazione giuridica della confisca nell’ambito del procedimento a carico degli enti ex D.lgs. n. 231 del 2001.
Secondo il Collegio, la confisca prevista dal D.lgs. n. 231/2001 si differenzia significativamente da quella prevista dal codice penale, poiché la prima è considerata una sanzione “principale, obbligatoria e autonoma”, e non una semplice misura di sicurezza patrimoniale.
Proprio l’espressa qualificazione normativa della confisca prevista dagli artt. 9 e 19 del D.lgs. n. 231 del 2001 quale sanzione principale, impone di estendere ad essa l’accordo sulla “pena” previsto dall’art. 63 D.lgs. n. 231 del 2001, non ravvisandosi ragioni di ordine giuridico per escludere la sola confisca dall’accordo tra le parti.
In particolare, come chiarito dalla Suprema Corte, è importante non confondere l’aspetto relativo alla obbligatorietà della confisca, con la possibilità di negoziarne l’entità.
Infatti, sebbene tutte le sanzioni principali siano obbligatorie per loro natura, ciò non preclude di determinarne l’entità attraverso un accordo tra imputato e pubblico ministero, che resta comunque soggetto alla verifica del giudice.
Lo stesso ragionamento, mutatis mutandis, non può che valere anche per la confisca prevista dal D.lgs. 231/2001 nel caso in cui l’ente decida di ricorrere al patteggiamento.
Secondo gli Ermellini, infatti, la confisca deve necessariamente essere inclusa nell’accordo tra le parti, sia per quanto riguarda la decisione di procedere con essa (c.d. “an”) sia per la sua quantificazione (c.d. “quantum”). Diversamente, l’accordo risulterebbe incompleto, esponendo l’ente a una confisca particolarmente afflittiva su cui non ha avuto alcuna possibilità di interlocuzione.
È chiaro tuttavia, che, data la natura obbligatoria di tale forma di confisca, le parti possono concordarne l’esclusione (ossia l’an) solo nei casi in cui si ritenga che l’illecito non abbia generato alcun profitto per l’ente. Diversamente, la determinazione dell’importo del profitto da confiscare (ossia il quantum) deve sempre essere inclusa nell’accordo, sia nel caso di confisca diretta che per equivalente.
Una volta raggiunto l’accordo, spetta al giudice verificare non solo l‘adeguatezza delle sanzioni pecuniarie e interdittive, ma anche la corrispondenza della confisca concordata al profitto dell’illecito effettivamente conseguito. Qualora invece il giudice ritenga non corretto l’accordo in ordine alla confisca, deve rigettare in toto la richiesta di patteggiamento.
Peraltro, come è stato da tempo stabilito della Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il profitto confiscabile è costituito esclusivamente dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato, con esclusione di ogni utilità indiretta, e deve essere concretamente determinato al netto delle utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente.
Alla luce di queste considerazioni, la Suprema Corte ha concluso che, data l’assenza di qualsiasi determinazione delle parti in ordine all’an e il quantum della confisca, l’accordo sulla pena raggiunto dalle parti non potesse essere accolto, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
La sentenza in esame assume particolare rilevanza poiché si discosta in modo significativo dall’orientamento dottrinale prevalente, secondo cui la confisca prevista dall’art. 19 del D.lgs. 231 sarebbe una conseguenza inevitabile della sentenza di patteggiamento, la cui determinazione è sottratta alla disponibilità delle parti e riservata esclusivamente al giudice.
Con questa recente pronuncia della Suprema Corte, si afferma invece che la confisca può essere considerata a tutti gli effetti una componente negoziabile nell’ambito dell’accordo tra le parti. Pertanto, essa dovrà essere oggetto di una valutazione più attenta in tutti quei casi in cui l’ente scelga di optare per il patteggiamento.