Con sentenza n. 1419 del 20 febbraio 2023 (depositata il 17 maggio 2023), la II Sezione Penale della Corte di Appello di Milano ha accolto un motivo di gravame prospettato dal difensore di una delle società attinte da un procedimento 231, ma estinta dopo la contestazione dell’illecito a seguito della cancellazione dal registro delle imprese.
La vicenda processuale trae origine da una gara a evidenza pubblica per la realizzazione di una particolare infrastruttura in occasione dell’Expo 2015, vinta da un’A.T.I. di cui faceva parte, tra le altre società, la High Engineering S.r.l.
Il rappresentante legale di tale impresa, figlio del Responsabile unico del procedimento, veniva accusato di turbata libertà degli incanti e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio perché, in concorso con gli altri vertici societari delle imprese costituenti l’A.T.I., avrebbe ottenuto l’aggiudicazione della gara previo accordo con il padre, che rivestiva anche la qualifica di Presidente della Commissione.
Il pubblico ufficiale si sarebbe adoperato per fornire suggerimenti nella redazione dell’offerta tecnica, rivelando altresì informazioni riservate che avrebbero posto le società partecipanti in una situazione di particolare favore per l’assegnazione della commessa; quale corrispettivo, avrebbe poi fatto stipulare a una delle imprese costituenti l’A.T.I. un contratto di consulenza simulato a favore di una diversa società riconducibile al figlio, e accettato la promessa della corresponsione di un’ulteriore somma di denaro, sempre attraverso lo schermo di un incarico professionale fittizio.
Scaturivano diversi procedimenti penali nei confronti dei soggetti coinvolti.
Tuttavia, il focus del nostro approfondimento riguarda l’illecito amministrativo da reato di cui all’art. 25, comma 3, del d.lgs. 231/2001 contestato alla High Engineering S.r.l., in relazione al delitto di corruzione propria ex art. 319 c.p.
Dopo la contestazione dell’illecito, è sopravvenuta l’estinzione dell’impresa attinta dal procedimento de societate, a seguito della sua cancellazione dal registro delle imprese. La Corte di Appello, quindi, non essendo questa un’ipotesi disciplinata espressamente dal d.lgs. 231/2001, si è confrontata con la non facile questione di individuare quali siano le possibili conseguenze della cessazione della società sul piano della responsabilità ex crimine dell’ente.
Per quel che riguarda gli effetti sul piano civilistico, l’art. 2495 c.c., dispone che, cancellata la società per azioni, i creditori rimasti insoddisfatti possono far valere i loro crediti verso i soci nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione o nei confronti dei liquidatori, qualora il mancato pagamento sia dipeso da loro colpa, «ferma restando l’estinzione della società».
Tale inciso ha comportato una rivisitazione della giurisprudenza di legittimità, prima orientata nel senso di riconoscere alla cancellazione un effetto meramente dichiarativo, con la conseguenza di ammettere l’estinzione dell’ente solamente in seguito alla definizione di tutti i rapporti attivi e passivi a esso riconducibili. Invece, dopo il riconoscimento dell’efficacia costitutiva della cancellazione, la tutela dei creditori sociali rimasti insoddisfatti rimane salvaguardata unicamente dalla prerogativa per questi ultimi di agire nei confronti dei soci o dei liquidatori, cui l’obbligazione si trasferisce secondo un fenomeno di tipo successorio.
Dalla disciplina civilistica così delineata si possono far discendere due possibili soluzioni al problema delle conseguenze della cancellazione per l’illecito amministrativo da reato dell’ente. Da un lato, infatti, si può ritenere che la cessazione della società, che consegue alla cancellazione, comporti l’estinzione dell’illecito, sulla falsariga di quanto avviene a seguito della morte del reo prima della condanna ex art. 150 c.p.; dall’altro, si può, invece, fare applicazione dell’art. 2495 c.c. per il pagamento della sanzione pecuniaria, di cui risponderanno, come si è visto, i soci secondo il regime patrimoniale di cui godeva la società estinta o i liquidatori in caso di loro colpa.
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Gli orientamenti della Corte di Cassazione
Il mancato richiamo, nel d.lgs. 231/2001, alle possibili conseguenze civilistiche della cancellazione ha evidentemente determinato un contrasto giurisprudenziale sul punto. Se, infatti, le precedenti decisioni di merito hanno concluso per l’estinzione dell’illecito ex crimine a seguito della cancellazione dell’ente dal registro delle imprese, la Corte di Cassazione ha offerto due soluzioni diverse.
- Il primo orientamento dei giudici di legittimità si è infatti posto in continuità con l’indirizzo interpretativo che si era fatto strada nella precedente giurisprudenza di merito (Cass. Pen. Sez. II, 10 settembre 2019, n. 41082). In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto estinto l’illecito amministrativo da reato sulla base dell’art. 35 del d.lgs. 231/2001, che estende alla persona giuridica le disposizioni processuali riferibili all’imputato, in quanto applicabili. Il rinvio dunque, da intendersi anche agli artt. 129 e 529 c.p.p., avrebbe permesso di equiparare l’estinzione della società alla morte del reo. Inoltre, un ulteriore argomento a sostegno di tale tesi sarebbe proprio il mancato richiamo alla cancellazione della società nel titolo del decreto citato riguardante le cd. vicende modificative: in assenza di una norma che lo consenta, non sarebbe infatti possibile far ricadere sui soci la responsabilità dell’ente che, salvo le eccezioni espressamente previste, risponde della sanzione pecuniaria unicamente con il suo patrimonio ex art. 27 d.lgs. 231/2001. Tuttavia, per scongiurare prassi elusive volte a far dichiarare estinta l’impresa al solo fine di neutralizzare il rischio di condanna nel procedimento contra societatem, la Corte di Cassazione ha affermato che tale conseguenza discenderebbe solo in presenza di una cancellazione “fisiologica” e non già “fraudolenta”, ossia preordinata allo scopo di sottrarsi alla responsabilità amministrativa da reato.
- Secondo un diverso orientamento, invece, la Suprema Corte, negando ogni effetto alla cessazione della società ha affermato la responsabilità dei soci per il pagamento della sanzione pecuniaria, secondo il dettato delle norme civilistiche (Cass. Pen. Sez. IV, 22 febbraio 2022, n. 9006). Da un lato, infatti, si è affermato che le cause di estinzione del reato, pacificamente considerate norme eccezionali, non sono estensibili in via analogica e che, laddove il legislatore ha voluto disciplinare gli effetti estintivi per l’illecito amministrativo da reato, l’ha fatto espressamente. Vi è da dire, inoltre, che la sentenza in commento si pone in linea di continuità con la precedente giurisprudenza di merito, da un lato riconoscendo effetto estintivo alla cessazione della società derivante dalla sua cancellazione dal registro delle imprese e dall’altro riprendendo la distinzione tra cancellazione “fisiologica” e “fraudolenta”.
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La decisione della Corte di Appello di Milano
Il percorso argomentativo seguito della Corte d’Appello valorizza il principio personalistico di cui all’art. 27 Cost. nell’ambito della responsabilità ex crimine dell’ente, giungendo ad una piena equiparazione tra la morte del reo e la fisiologica estinzione della società, in virtù dell’inutilità di sanzionare un soggetto non più esistente e di svolgere nei suoi confronti un antieconomico processo. Dopo aver richiamato gli effetti civilistici della cancellazione, a sostegno di tale conclusione viene riportato sia l’argomento fondato sull’art. 35 del d.lgs. 231 del 2001, ritenendo, evidentemente, compatibile la disciplina processuale conseguente alla morte del reo con le peculiarità del soggetto collettivo, sia il mancato richiamo all’estinzione nel titolo relativo alle vicende modificative dell’ente.
Preso atto della lacuna normativa, la motivazione si concentra, come si è accennato, sul ruolo del principio di colpevolezza nel sistema delineato dal d.lgs. 231/2001.
Ritenendo, infatti, pacifica l’attrazione nell’orbita dell’art. 27 Cost. della responsabilità da reato, ricavabile dalla necessità di rinvenire una colpa d’organizzazione per poter rimproverare l’illecito al soggetto collettivo, la Corte d’Appello trae una conseguenza particolarmente rilevante sul piano della funzione che le sanzioni devono svolgere per l’ente.
Infatti, avendo tale forma di responsabilità una natura punitiva particolarmente accentuata, provata se non altro dall’esigenza di rinvenire una rimproverabilità del fatto al soggetto cui è rivolta la contestazione, ne discende che la finalità retributiva e, soprattutto, rieducativa della pena, prevista dalla norma costituzionale, deve necessariamente ritrovarsi anche nella sanzione da infliggere.
Ebbene, le eventuali misure punitive irrogate alla società cancellata, e quindi estinta in ossequio alla menzionata disciplina civilistica, risulterebbero, sotto questo profilo, inutiliter, con conseguente necessità di riconoscere altresì l’effetto estintivo dell’illecito derivante dalla cancellazione. È evidente, infatti, che nessun effetto rieducativo è possibile per un soggetto non più esistente, così come la funzione più marcatamente retributiva finirebbe per essere sopportata dai soci beneficiari del bilancio finale di liquidazione, individui diversi da quello cui la sanzione è irrogata.
I Giudici di merito, come accennato, riprendono la distinzione tra la cessazione “fisiologica” e “fraudolenta”, elaborata dalla Suprema Corte, valorizzandone il profilo cronologico.
L’assenza di indici di fraudolenza della cancellazione risulta provata dal fatto che la società sia stata messa in liquidazione prima che gli imputati abbiano avuto conoscenza di un procedimento a loro carico, anche se l’effettiva estinzione del soggetto collettivo è sopravvenuta nelle more del processo di primo grado. Per questi motivi, non essendo stati allegati altri elementi che potessero far propendere per una estinzione dell’ente preordinata a “sfuggire” alle sanzioni 231, la Corte d’Appello ha ritenuto estinto l’illecito ex crimine a seguito della sua cancellazione dal registro delle imprese.