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Proporzionalità del sequestro disposto nei confronti degli Enti

Con riferimento al sequestro preventivo, il canone di proporzionalità impone al giudice di modulare il vincolo in modo che lo stesso, pur conforme agli scopi previsti dal legislatore, non determini un’esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica dell’ente attinto dal vincolo reale, eccedendo quanto strettamente necessario rispetto al fine perseguito.

Tale principio è stato ribadito in una recente pronuncia – n. 2836 del 21 gennaio 2025 – della Sesta sezione penale della Corte di Cassazione che ha annullato la decisione del Tribunale del riesame, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale competente ex art. 324, comma 5, cod. proc. Pen..

La vicenda in esame riguarda un sequestro preventivo impeditivo disposto a carico di una società agricola semplice, nonché dei conti correnti ad essa intestati, dei beni aziendali, delle quote di partecipazione e di ogni altra componente patrimoniale ad essa riconducibile.

Ad avviso del Collegio, la Società, insieme ad altre, sarebbe stata uno strumento finalizzato al reimpiego di titoli “tossici” conseguiti attraverso la consumazione di plurimi reati di truffa.

Avverso il provvedimento disposto dal Tribunale della Libertà ha proposto ricorso per cassazione, la società, articolando due motivi.

Occorre in questa sede soffermarsi sul secondo motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente ha lamentato la violazione del principio di proporzionalità, in quanto non sarebbe stata fornita un’adeguata motivazione circa l’ “indispensabile” imposizione del vincolo su tutti i beni indicati.

Ebbene, nella pronuncia in esame la Suprema Corte ha ritenuto meritevole di accoglimento tale motivo di ricorso, relativamente alla violazione del principio di proporzionalità.

In via preliminare, i giudici di legittimità hanno ribadito che, in tema di sequestro preventivo, il canone di proporzionalità, sancito – anche in riferimento alle misure cautelari reali – dall’art. 275 cod. proc. pen. e, a livello sovranazionale, dal diritto dell’Unione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo assolve «ad una funzione strumentale per un’adeguata tutela dei diritti individuali in ambito processuale penale, e ad una funzione finalistica, come parametro per verificare la giustizia della soluzione presa nel caso concreto» (ex plurimis, Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, Aleotti, Rv. 279949 – 02; Sez. 4, n. 29956 del 14/10/2020, Valentino, Rv. 279716 – 01; Sez. 6, n. 9776 del 12/02/2020, Morfù, non massimata).

Le Sezioni Unite, del resto, hanno in più occasioni affermato che «ogni misura cautelare, per dirsi proporzionata all’obiettivo da perseguire, dovrebbe richiedere che ogni interferenza con il pacifico godimento dei beni trovi un giusto equilibrio tra i divergenti interessi in gioco» (così testualmente Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273548, in motivazione).

Sempre in via preliminare, la Cassazione ha sottolineato che il principio di proporzionalità, peraltro, non opera esclusivamente quale limite alla discrezionalità giudiziale nella fase genetica della misura cautelare, ma impone al giudice, lungo tutta la fase della sua efficacia, di graduare e modellare il contenuto del vincolo imposto, anche in relazione alle sopravvenienze che possono intervenire, affinché lo stesso non comporti restrizioni più incisive dei diritti fondamentali rispetto a quelli strettamente funzionali a tutelare le esigenze cautelari da soddisfare nel caso di specie.

La legittima finalità di garantire l’effettività della decisione emessa al termine del giudizio di merito non deve superare quanto strettamente necessario per il conseguimento del fine che si intende perseguire. Deve, pertanto, essere realizzata nei modi che siano adeguati alla protezione di altri diritti costituzionali rilevanti, meritevoli di tutela, e il cui esercizio non ostacoli le esigenze cautelari perseguite.

Muovendo da tali premesse, il giudice, all’atto dell’adozione della misura cautelare reale e nella sua successiva dinamica esecutiva, deve evitare che il vincolo reale, eccedendo le proprie finalità ed esorbitando dall’alveo dei propri effetti tipici, si risolva in una sostanziale eccessivo sacrificio dei diritti fondamentali della parte.

Secondo la Cassazione, il Tribunale di Messina non ha fatto buon governo dei principi sopra enunciati poiché, a fronte della necessità di inibire l’attività di impresa della società al fine di impedire “nuove occasioni di reato”, ha incomprensibilmente ritenuto necessario e conforme al principio di proporzionalità sequestrare i conti correnti e ogni altra componente patrimoniale riferibile alla stessa società.

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