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Rappresentanza e difesa dell’ente in giudizio

Il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di una evidente condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell’ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall’art. 39 del d.lgs. n. 231 del 2001.

Tale principio, affermato per la prima volta dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la nota sentenza n. 33041 del 28 maggio 2015, “Gabrielloni”, è stato più di recente ribadito dalla III Sezione della Corte con la sentenza n. 38890 del 2024.

Nel giugno del 2024, il Tribunale del riesame di Salerno ha dichiarato inammissibile un riesame proposto da una società a responsabilità limitata contro un sequestro preventivo disposto dal GIP del Tribunale di Nocera Inferiore. Di fronte a questa decisione, il rappresentante legale della società ha presentato ricorso per cassazione, attraverso il proprio difensore, deducendo, fra i vari motivi, la nullità del sequestro preventivo poiché effettuato senza provvedere alla nomina di un difensore d’ufficio per l’ente che ne era privo e senza procedere alla notifica dell’informativa di garanzia.

Anche questo ricorso, tuttavia, è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di cassazione per una serie di fondamentali ragioni.

La prima riguarda la mancata costituzione in giudizio dell’ente.

Il Collegio, infatti, ha chiarito che, per partecipare attivamente al procedimento ed esercitare i propri diritti difensivi, tra cui anche quello di promuovere impugnative innanzi al Tribunale del Riesame, l’ente deve costituirsi formalmente in giudizio, ai sensi dall’articolo 39 del d.lgs. n. 231 del 2001.

Tale norma, operante fin dalla fase delle indagini preliminari, prevede che l’ente, qualora intenda partecipare al procedimento, debba costituirsi depositando presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria procedente una dichiarazione contenente, a pena di inammissibilità:

a) la denominazione dell’ente e le generalità del suo legale rappresentante;

b) il nome ed il cognome del difensore e l’indicazione della procura;

c) la sottoscrizione del difensore;

d) la dichiarazione o l’elezione di domicilio.

Ebbene, nel caso di specie, di tale costituzione non vi era traccia; elemento già di per sé sufficiente per una pronuncia di inammissibilità per difetto di legittimazione processuale.

La seconda ragione di inammissibilità è collegata all’incompatibilità del rappresentante legale nel nominare il difensore dell’ente.

La Corte ha infatti ribadito il principio, affermato per la prima volta nella già citata sentenza “Gabrielloni”, secondo cui il rappresentante legale, se imputato del reato presupposto da cui dipende l’illecito amministrativo, non può provvedere alla nomina del difensore dell’ente; di contro, tutti gli atti da questo compiuti nell’ambito del procedimento penale sono da considerarsi inefficaci per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall’art. 39 del d.lgs. n. 231 del 2001. Tale situazione di assoluta incompatibilità – come stabilito da un consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 13003 del 31/01/2024) – è presunta “iuris et de iure” e scatta automaticamente in presenza della situazione contemplata dalla norma, senza necessità di ulteriori accertamenti.

Nel caso specifico, il rappresentante legale della società, imputato del reato presupposto, pur trovandosi in tale situazione di conflitto di interessi, aveva comunque provveduto a nominare il difensore dell’ente, rendendo automaticamente inammissibile il ricorso.

La Corte ha infine precisato che la nomina del difensore d’ufficio per l’ente, prevista dall’articolo 40 del d.lgs. 231/2001 (in modo simile a quanto stabilito dall’articolo 96, comma 3, del codice di procedura penale per l’indagato), non è obbligatoria in fase di esecuzione del sequestro preventivo. Infatti, secondo l’articolo 364 del codice di procedura penale, la nomina d’ufficio è necessaria solo per atti quali l’interrogatorio, l’ispezione, l’identificazione di una persona o il confronto, in cui è richiesta la presenza dell’indagato. Ove la persona sottoposta ad indagine non partecipi alle operazioni, la nomina di un difensore d’ufficio non risulta necessaria, facendo così venire meno anche l’obbligo di inoltro della informazione di garanzia.

Alla luce di queste motivazioni, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla società.

Questa pronuncia solleva una questione cruciale: come può un ente costituirsi in giudizio ed esercitare i propri diritti di difesa quando il suo rappresentante legale è indagato o imputato del reato presupposto da cui deriva l’illecito amministrativo?

In tali circostanze, l’ente ha due possibili soluzioni a disposizione.

La prima, più complessa, consiste in una riorganizzazione del vertice aziendale attraverso la nomina di un nuovo rappresentante legale.

La seconda, di più immediata applicazione, prevede la designazione di un rappresentante legale ad litem, ovvero un rappresentante provvisorio incaricato solo per quello specifico procedimento. Tale figura, diversa dal rappresentante indagato o imputato del reato presupposto, consente all’ente di costituirsi in giudizio e di esercitare i propri diritti di difesa, compresa la nomina di un difensore.

Di conseguenza, come ribadito dalla Suprema Corte nella sentenza in esame, è fondamentale che gli enti adottino modelli organizzativi che prevedano regole chiare per prevenire potenziali conflitti di interesse, legati alla figura del rappresentante legale coinvolto nel reato presupposto. Tali modelli devono includere la possibilità di nominare un difensore attraverso una persona specificamente delegata, diversa dal rappresentante sotto indagine, al fine di garantire una difesa efficace e imparziale degli interessi dell’ente.

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